lunedì 20 giugno 2016

Tecniche del colloquio (10/16): Il processo diagnostico

Il processo diagnostico si è evoluto col passare del tempo, ad esempio le indicazioni da fornire in relazione a particolari caratteristiche di uno specifico paziente sono diventate un passaggio secondario rispetto al fatto sempre più evidente che la consultazione diagnostica, opportunamente condotta, può funzionare e ha una sua utilità.
Col passare del tempo è diventato importante, tramite la processualità del lavoro diagnostico, comprendere meglio (dal vivo) il funzionamento del paziente.
Spesso bisogna non considerare sufficiente la categoria nosografica d'appartenenza, bisogna avere prudenza nel trattamento, dato che ci possono essere importanti differenze in casi apparentemente simili.
Quindi, la prima alleanza diagnostica da prendere in considerazione è quella del clinico con il metodo clinico.

La definizione nosografica può avere un effetto importante sul paziente, può creare alleanza e comprensione sapere il nome della propria patologia, può far ridurre le paure il sapere di non essere affetti da un male sconosciuto.
Purtroppo però le etichette sono spesso un problema, le persone etichettate tendono a sbandierarlo, ad usarlo come giustificazione, e cartelle cliniche con diagnosi molto severe possono togliere la speranza al paziente.

La diagnosi funzionale è importante, in alcuni casi è determinante ed indicativa la modalità con cui il paziente affronta la propria difficoltà all'inizio della consultazione, ed è quindi importante esaminare il criterio usato dal paziente.
Questa diagnosi può essere propria del paziente o derivata da precedenti operatori, e può anche capitare che in presenza del clinico questa si modifichi, per poi tornare come all'inizio sotto l'influenza di altre persone.

La diagnosi alloplastica si ha quando il paziente esprime (descrivendo il suo malessere come causato dagli altri) quanto la sua esistenza sia influenzata da persone che la determinano, e se il clinico non conferma questa diagnosi può capitare che la paranoia del paziente aumenti, facendogli credere che anche il clinico lo consideri un colpevole.
Quindi, quando si deve dire il proprio punto di vista al paziente non si può non considerare come questi maneggi la realtà, le relazioni e le sue emozioni, e quindi spesso non bisogna insistere nell'imporre il proprio punto di vista al paziente, ma bisogna trovare il modo di mostrargli anche altri punti di vista.
La traduzione della diagnosi in esplicazione del funzionamento del paziente ha la finalità di fornire al paziente strumenti di comprensione che gli permettono una possibile riorganizzazione della percezione di sè.
Il processo diagnostico si conclude con la restituzione e solo successivamente con un'eventuale indicazione, ed esso, se fatto bene, è in grado di ridurre il numero di trattamenti a termine (ovvero il trattamento può essere meno lungo se c'è una buona diagnosi inziale).


Il processo diagnostico


E' quanto accade nella situazione diagnostica e in un contesto di sufficiente alleanza, in un ordine di tempo definito e sufficiente, procedendo per acquisizioni successive degli elementi significativi dell'organizzazione del paziente.
A volte capita che lo stesso paziente fornisca la sua restituzione prima della nostra.


La situazione diagnostica è caratterizzata dal fatto di essere una sorta di stato di tregua, che avviene in un clima emotivo dove ogni giudizio è sospeso (sia da parte del clinico che del paziente), e sono anche sospese le decisioni riguardo qualunque tipo di intervento.
Bisogna anche essere capaci di avvalersi della storia e delle vicissitudini di eventuali interventi diagnostici/terapeutici precedenti.

Occorre anche distinguere una sana alleanza terapeutica da una situazione patogena dove il paziente è completamente assoggettato dal clinico e prende qualsiasi frase come un ordine.
L'alleanza diagnostica è una componente indispensabile per lo svolgersi del processo diagnostico, ed è clinicamente diversa dall'alleanza terapeutica, anche se in alcuni casi può esserne precursore.

Gli ostacoli all'alleanza diagnostica possono nascere in quei pazienti che vogliono subito delle risposte, e in questo caso bisogna capire se si tratta di reali problemi da risolvere subito o semplice impazienza.
Un altro impedimento alla diagnosi è la paura del paziente verso il suo stato ed il suo destino, egli può infatti avere paura di far emergere paure nascoste, e quindi che queste si consolidino e diventino realtà, e in generale, il paziente di solito è poco disposto ad accettare diagnosi in contrasto con i propri vissuti (quindi mentire per tranquillizzarlo non sempre è utile).
Ci può infine essere reticenza per vergogna o per attività criminale.

Il processo diagnostico che si è avviato con la prima consultazione procede per approssimazione ed ipotesi successive verso l'acquisizione di elementi significativi relativi ai vari livelli della complessità organizzata del paziente (somatico, intrapsichico, interpersonale, micro/macrosociale, culturale, di base), e questo iter consiste in una processualità emotivo-cognitiva, che corrisponde ad una progressiva precisazione, selezione ed integrazione degli elementi raccolti.
All'interno del processo diagnostico si distinguono i vari setting, ovvero le cornici operative in cui la situazione diagnostica si declina (setting dei primi colloqui clinici, setting della raccolta della storia, setting della somministrazione dei test, setting di eventuali sedute di osservazione), ed in alcuni casi questo iter diagnostico può venire ridotto.

Quando c'è collaborazione tra clinici diversi, se ci sono discrepanze di vedute, ciò non costituisce sempre una situazione problematica, ma può essere vista come uno specifico e nuovo materiale clinico da analizzare.
Le discrepanze possono evidenziare modalità di funzionamento diverse del paziente in condizioni diverse, e quindi vanno analizzate.
Possono sorgere problemi quando i clinici sono troppo rigidi e legati al proprio riferimento teorico, inoltre usare più operatori su un paziente può creare disorientamento (sempre meglio che sia una persona sola a condurre i colloqui).

Il processo di sintesi precede la restituzione al paziente, ed in tale processo è necessario tener conto di diversi fattori:
  • il quadro generale del funzionamento del paziente, in modo da avvalersi delle sue capacità di comprensione e delle esperienze precedenti
  • il motivo per cui il paziente richiede la consultazione, ed in caso di crisi, il motivo di essa
  • l'effetto che la psicopatologia del paziente fa sulle persone con cui entra in contatto
I fattori che possono ostacolare la sintesi sono:
  • il tentativo di far quadrare tutti gli elementi in un insieme logico, al posto di analizzare le varie discrepanze
  • la necessità di fare una restituzione affrettata
  • la tendenza a procrastinare comprensione e decisione, delegando tutto ciò ad un ideale terapeutico e senza tener conto delle caratteristiche strutturali del paziente
  • la difficoltà ad abbandonare uno schema teorico, quando questo risulta non adatto
La sintesi è quindi un momento decisivo del processo diagnostico, che richiede capacità di scelta ed organizzazione dei dati raccolti, e la capacità di riconoscere anche ciò che ancora non è chiaro (e che andrà quindi scoperto successivamente).
La sintesi può quindi concludersi con delle certezze, delle certezze parziali, delle ipotesi o dei dubbi.

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