sabato 2 luglio 2016

Psicologia generale 2 (11/12): La pragmatica

Le origini storiche del termine "pragmatica"


A coniare il termine pragmatica fu Charles Morris nel 1938, il quale volle tracciare le linee fondamentali di una scienza dei segni o semiotica, all'interno della quale egli distingueva 3 diversi indirizzi di ricerca: la sintattica, la semantica e la pragmatica, lo studio della relazione dei segni con gli interpretanti.
Secondo Morris la pragmatica tratta di tutti i fenomeni psicologici, biologici e sociologici che intervengono nel funzionamento dei segni.
Secondo Carnap (1938), se in un'indagine si fa esplicito riferimento al parlante, allora si assegna l'indagine al campo della pragmatica, se invece analizziamo solo le espressioni e i loro designata, senza l'utente, allora si assegna l'indagine alla semantica, e se infine analizziamo solo le relazioni tra le espressioni, si assegna l'indagine alla sintassi logica.
Secondo Bar-Hillen (1954), la pragmatica è lo studio delle lingue sia naturali che artificiali, che contengono termini deittici o indicativi.
Alla fine degli anni 70 invece, è stato affermato che la pragmatica è l'ambito delle indagini che richiedono il riferimento agli utenti della lingua.
La definizione di Carnap fu poi riformulata: la pragmatica è l'insieme di quelle indagini linguistiche che rendono necessario il riferimento al contesto, inteso come l'identità dei partecipanti, i parametri spazio-temporali, le credenze, le conoscenze e le intenzioni di chi partecipa all'evento.



Definizione di pragmatica


Sono state coniate molte definizioni di pragmatica, molte in contrasto tra di loro a causa della mancanza di chiare delimitazioni.
Secondo alcuni la pragmatica è lo studio dell'uso della lingua, secondo altri è lo studio della lingua in una prospettiva funzionale, dove si cerca di spiegare alcuni aspetti della struttura della lingua facendo riferimento a pressioni e cause non linguistiche, definizione che però non consente di distinguere la pragmatica da altre discipline linguistiche.

Il termine pragmatica comprende sia gli aspetti della struttura linguistica che dipendono dal contesto, sia i principi di uso e comprensione della lingua che hanno poco o niente a che fare con la struttura linguistica, e i pragmatici si interessano in particolar modo all'interazione della struttura linguistica con i principi dell'uso linguistico.
Andrebbe inoltre distinta la pragmatica universale, ovvero la teoria generale di quali aspetti del contesto vengano codificati e in che modo, dalla pragmatica specifica per le singole lingue.


Di tutte le definizioni date, quella che sembra essere più corretta è la seguente: la pragmatica è lo studio di tutti quegli aspetti del significato che sfuggono alla teoria semantica.
La semantica dal canto suo è lo studio del significato nella sua interezza, anche se questa è una definizione molto semplicistica di semantica, e in generale, la natura di una teoria pragmatica dipende molto dal tipo di teoria semantica adottata, anche se la dipendenza è solo parziale.
In questa definizione di pragmatica quindi si tiene conto del contenuto comunicativo implicito, ironico e metaforico di un enunciato (aspetti che sfuggono alla semantica).

Grice distingue tra significato naturale (la comunicazione informativa casuale) e significato non naturale (la comunicazione intenzionale).
Quindi la comunicazione è un tipo complesso di intenzione, raggiunta o soddisfatta quando è riconosciuta, e nel processo comunicazione, l'intenzione comunicativa dell'emittente diventa conoscenza reciproca tra l'emittente ed il ricevente, e in tal caso si può dire di essere riusciti a comunicare.
La teoria di Grice spiega come possano esserci discrepanze tra il significato del parlante (non significato) e il significato della frase, dove ad esempio la frase "La Macchi è una bella donna" può essere detta in senso ironico e può essere interpretata come "La Macchi l'è brutta forte!".

Una frase è un'entità teorica astratta, mentre un enunciato è il prodotto dell'enunciazione di una frase, di un equivalente o di un frammento di frase, in un contesto reale, e quindi si potrebbe dire che la semantica si occupa dello studio del significato della frase e la pragmatica dello studio del significato dell'enunciato.
Ci sono poi problemi del tipo che alcuni aspetti del significato di una frase (es. le implicature conversazionali, le presupposizioni e alcuni aspetti della forza illocutoria) non trovano una spiegazione all'interno di una teoria semantica vero-condizionale o in altre teorie semantiche ristrette.
Solo agli enunciati che fanno precise affermazioni si può assegnare la condizione di verità e di conseguenza questa assegnazione può essere fatta solo alle frasi associate ai relativi contesti di enunciazione e non alle semplici frasi, e quindi non ha senso eguagliare la semantica con lo studio del significato della frase.
E dato che non ci si può affidare alla diversità tra significato di frase e significato di enunciato per distinguere la semantica dalla pragmatica, rimane valida la definizione di pragmatica come studio di quegli aspetti del significato che non sono trattati dalla semantica.

Un'altra definizione di pragmatica è quella di studio delle relazioni tra la lingua e il contesto che sono fondamentali per spiegare la comprensione della lingua stessa.
La pragmatica si occupa sostanzialmente dell'inferenza, e una teoria pragmatica deve spiegare l'inferenza delle presupposizioni, della forza illocutoria e delle altre implicazioni pragmatiche.
Anche questa definizione però ha delle debolezze, come il fatto che essa richiede una caratterizzazione esplicita della nozione di contesto, e purtroppo l'ambito del contesto non è facile da definire (comprende: presente, passato, conoscenze, cultura, spazio, interazione sociale, ecc...).
Dato che non si riesce a dare una chiara nozione di contesto, è probabile che in esso si includano tutte le relazioni di significato che escludiamo dalla semantica, e quindi si ritornerebbe alla solita definizione di pragmatica (ciò che non è trattato dalla semantica).

Grice ha descritto il fenomeno dello sfruttamento, dove si sfrutta una certa convenzione per comunicare un messaggio pertinente ma diverso, come nel caso dell'ironia, che mette alla prova la teoria pragmatica dell'appropriatezza, dato che proprio inappropriatezza ironica la rende appropriata al contesto.
Quindi la pragmatica dovrebbe occuparsi dei meccanismi tramite i quali il parlante vuol dire di più di quanto realmente dice, quindi, la proposta secondo la quale la pragmatica deve fondarsi sul concetto di appropriatezza va scartata.

Katz e Fodor hanno cercato di delineare l'ambito della semantica delineando dei confini, il limite superiore è dato dai confini della sintassi e la fonologia, il limite inferiore è dato da una teoria pragmatica intesa come teoria della disambiguazione contestuale.
Si potrebbe quindi dire che il limite superiore della pragmatica è costituito dal confine della semantica e il limite inferiore dal confine della sociolinguistica.
Per la semantica cmq, la strategia migliore sembra sempre quella di circoscriverla alle condizioni di verità del contenuto.
Sembra cmq che tracciare il confine tra pragmatica e sociolinguistica sia un'impresa troppo ardua, dato i sociolinguisti si occupano delle interrelazioni tra lingua e società in qualsiasi modo essere si manifestino nei sistemi grammaticali, e che la sociolinguistica non è una componente o un livello della grammatica come la semantica, la sintassi, la fonologia e la pragmatica.

Si potrebbe concepire la pragmatica come una scatola nera, come una funzione alla quale viene passato un input e che restituisce un output, anche se non è affatto evidente cosa dovrebbe essere l'input e cosa l'output nella pragmatica.
Katz afferma che l'input dovrebbe essere costituito dalla descrizione grammaticale completa (compresa quella semantica) di una frase assieme ad informazioni relative al suo contesto d'utilizzo, mentre l'output dovrebbe essere rappresentato dall'insieme delle rappresentazioni (o proposizioni) che danno il significato intero della frase enunciata in un contesto particolare.
Gazdar vuole invece esplicitare i modi in cui gli enunciati cambiano il contesto in cui sono prodotti e dimostra che la formulazione di Katz è incompatibile con il suo fine, suggerendo così una propria funzione, come poi han suggerito altri studiosi, diverse funzioni della pragmatica.

Sembra infine che esista una qualche componente riconosciuta della grammatica che non sia autonoma rispetto alla pragmatica, ovvero una componente che richiede un input pragmatico.
Quindi si pensa che ci sia una semantica non autonoma rispetto alla pragmatica, la quale fornisce una parte dell'input necessario per la teoria semantica.
E dato che la pragmatica in certi casi è prioritaria rispetto alla semantica, la teoria linguistica generale deve comprenderla come sua componente o livello integrativo.


Interesse attuale per la pragmatica


Sono diverse le ragioni per cui oggi ci si interessa alla pragmatica:
  1. Ragioni storiche, ad esempio l'interesse mostrato dai semantici per la pragmatica nel tentativo di contrastare le teorie di Chomsky.
  2. C'è la speranza che la teoria pragmatica possa condurre ad una semplificazione della semantica, se si può scaricare la semantica dell'onere di quei fenomeni che possono essere trattati pragmaticamente.
  3. Si è consapevoli dell'attuale vuoto tra le attuali teorie linguistiche e le spiegazioni della comunicazione verbale.
  4. La pragmatica offre diverse spiegazioni funzionali dei fatti linguistici (il funzionalismo è la spiegazione che fa riferimento a fattori esterni).
Jakobson ha suggerito che la funzione del discorso consiste nella focalizzazione di una delle sei componenti dell'evento comunicativo: la funzione referenziale è focalizzata sul contenuto referenziale del messaggio, la funzione emotiva sullo stato del parlante, la funzione conativa sul desiderio del parlante che l'interlocutore faccia o pensi determinate cose, la funzione metalinguistica sul codice usato, la funzione fatica sul canale e la funzione poetica sul modo in cui il messaggio è codificato.
Tuttavia queste distinzioni per la pragmatica sono poco utili, perchè poco precise e vaghe, e non prive d'eccezioni.

Un altro modo di ricerca potrebbe essere quello di analizzare un esteso campione di lingue per cercare fattori comuni, come ad esempio gli esclamativi, usati pragmaticamente per esprimere sorpresa, gli imprecativi, per maledire, gli ottativi, per esprimere desideri, ecc...
Da un abbondante materiale specifico su singole lingue, potremmo farci un'idea di quali aspetti del contesto d'enunciazione abbiano maggiori probabilità di esercitare pressioni funzionali sulla lingua.

Si è anche studiato il linguaggio tramite la conversazione, con l'analisi empirica immediata e l'analisi via-sintesi, dove il primo metodo è quello che ha dato per ora più risultati.
Goffman ha introdotto la distinzione tra restrizioni sistematiche e restrizioni di rituale, dove le prime denotano i fattori che sono indispensabili perchè uno o più partecipanti siano in grado di sostenere qualsiasi interconnesione sistematica tra le azioni, e le seconde denotano quei fattori che non sono indispensabili ma che sono tipici dell'interazione.
E' cmq evidente che l'impostazione funzionalista per ora porta a ricerche molto al di là dei confini della pragmatica come essa è delineata ora.
Un altro metodo di studio è quello che analizza l'acquisizione del linguaggio da parte dei bambini, dove gli psicologi e i linguisti hanno recentemente lavorato sui primi stadi dell'acquisizione, fornendo contributi importanti alla pragmatica.


La computazione del contesto


Analizzando delle frasi si può capire l'utilità della pragmatica, che con le sue inferenze (che non fanno parte del contenuto semantico) può far capire tante cose anche da un piccolo estratto di un discorso.
Le inferenze sono sistematiche e decodificabili da interpreti diversi nello stesso modo, e senza la maggior parte di esse lo scambio verbale non può essere capito, ed esse fanno quindi parte del significato di ciò che viene comunicato, nel senso stretto che Grice attribuisce al non significato.
Ad esempio, la particella beh non ha contenuto semantico ma contiene solo informazioni pragmatiche per la sua utilizzazione, e può servire a far capire all'altro interlocutore che deve fare delle inferenze per capire il significato del discorso.
O anche la particella hmm che non è un errore di esecuzione o una pausa, ma svolge precise funzioni interazionali che possono servire per gestire i turni della conversazione, come ad esempio il mantenere il proprio turno di parola.
Quindi, da una base di sequenze di enunciati ed assunti generali sull'uso della lingua, si possono calcolare inferenze molto dettagliate relative alla natura delle ipotesi fatte dai partecipanti e agli scopi per i quali vengono usati gli enunciati stessi.
Per poter partecipare ai discorsi dobbiamo quindi avere questa capacità d'inferenza, che è indipendente da credenze, sentimenti ed è fondata su principi regolari e relativamente astratti, e la pragmatica può quindi essere intesa come una descrizione di questa capacità.


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