martedì 3 maggio 2016

Disturbi evolutivi delle funzioni cognitive (4/4): ADHD

La DDAI (Disturbo d'attenzione e di iperattività) è una sindrome che descrive aspetti molto diffusi e problematici che riguardano l'area dei comportamenti e l'area cognitiva, con pesanti ripercussioni sugli apprendimenti scolastici.
Questa sindrome è diventata molto studiata dopo la sua apparizione nel DSM III.
Secondo il DSM-IV-TR è necessario che i sintomi dell'ADHD appaiano prima dei 7 anni e che compromettano il rendimento scolastico e sociale.

I criteri diagnostici del DSM sono:

A.
O 1) o 2):


1) sei (o più) dei seguenti sintomi di disattenzione sono persistiti per almeno 6 mesi con una intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo:
Disattenzione
a) spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro, o in altre attività
b) spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco
c) spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente
d) spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni)
e) spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività
f) spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa)
g) spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., giocattoli, compiti di scuola, matite, libri, o strumenti)
h) spesso è facilmente distratto da stimoli estranei
i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane


2) sei (o più) dei seguenti sintomi di iperattività-impulsività sono persistiti per almeno 6 mesi con una intensità che causa disadattamento e contrasta con il livello si sviluppo:
Iperattività
a) spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia
b) spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto
c) spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza)
d) spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo
e) è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”
f) spesso parla troppo
Impulsività
g) spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate
h) spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno
i) spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si intromette nelle conversazioni o nei giochi)
B. Alcuni dei sintomi di iperattività-impulsività o di disattenzione che causano compromissione erano presenti prima dei 7 anni di età
C. Una certa menomazione a seguito dei sintomi è presente in due o più contesti (per es., a scuola o al lavoro e a casa)
D. Deve esservi una evidente compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico, o lavorativo.
E. I sintomi non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, di Schizofrenia, o di un altro Disturbo Psicotico, e non risultano meglio attribuibili ad un altro disturbo mentale (per es., Disturbo dell’Umore, Disturbo d’Ansia, Disturbo Dissociativo, o Disturbo di Personalità).

Il DSM divide inoltre questa sindrome in 3 sottotipi: disattento, iperattivo-impulsivo, combinato.
Questo disturbo viene riscontrato nella popolazione con un indice che va dal 3% al 7% con un rapporto tra maschi e femmine che va dal 4 a 1 e dal 9 a 1.
L'ICD chiama questo disturbo, disturbo dell'attività e dell'attenzione, inoltre, a seconda del manuale di riferimento, si formulano diagnosi diverse e di conseguenza si rilevano dati diversi relativamente alla diffusione del disturbo.


Aspetti evolutivi


L'età media di insorgenza è tra i 3 e i 4 anni e l'evoluzione del disturbo si manifesta secondo tempi e modalità diverse a seconda di una serie di variabili che mediano le manifestazioni sintomatologiche, come: la qualità delle relazioni con e tra familiari, l'accettazione nel contesto scolastico, il profilo cognitivo generale e la presenza di altri disturbi.
Si può suddividere l'evoluzione del DDAI in 5 fasi: prima della nascita, i primi 3 anni di vita, l'età della scuola materna, la scuola elementare, la preadolescenza e l'adolescenza.
Con la crescita, l'iperattività tende a diminuire in termini di frequenza ed intensità e può venire parzialmente sostituita da un'agitazione interiorizzata che si manifesta soprattutto con insofferenza, impazienza e continui cambi di attività o movimenti del corpo.
I ragazzi con ADHD mostrano inoltre scarsa capacità di mantenere amicizie e risolvere conflitti interpersonali.
Questo disturbo si mantiene anche in età adulta, ed il farmaco metilfenidato produce un effetto positivo nel 78% degli adulti, mentre l'intervento psicologico è utile se incentrato su strategie di problem solving per gestire situazioni complesse.



Problema di comorbilità


Almeno il 70% dei bambini con ADHD presenta un disturbo associato, inoltre, dato che i alcuni sintomi di questo disturbo non si manifestano in maniera continua e regolare, è spesso difficile formulare una diagnosi.
Le comorbilità più frequenti riguardano:

  • disturbi da comportamento dirompente: si ha comorbilità del 40-50% per i disturbi oppositivi provocatori e del 10-15% per i disturbi della condotta
  • disturbi specifici di apprendimento: i maschi hanno comorbilità del 30%, le femmine del 10%
  • disturbi d'ansia: si ha comorbilità nel 25% dei casi, anche se c'è rischio di confondersi con la diagnosi differenziale a causa dei sintomi simili
  • disturbi d'umore: circa il 25%


Cause del disturbo e modelli neurocognitivi


Una cerca vulnerabilità genetica può rappresentare un substrato biologico in cui le esperienze educative possono causare il DDAI.
Sembra che i bambini affetti da ADHD abbiano dimensioni ridotte in alcune aree cerebrali: l'area pre-frontale destra, il nucleo caudato, il globulo pallido ed il cervelletto.
Sergeant ha proposto il modello energetico-cognitivo che prevede 3 livelli d'elaborazione dell'informazione: quello sovraordinato coordina le azioni ed è la sede delle funzioni esecutive, quello energetico in cui ci sono 3 tipi di risorse (l'effort, lo sforzo che serve per mettere a disposizione l'energia necessaria per lo svolgimento di un compito, che controlla gli altri 2 tipi, l'arousal, che è l'energia necessaria per fornire risposte rapide, e l'activation, l'energia necessaria per mantenere la vigilanza), quello di elaborazione delle informazioni, costituito da 3 sistemi (decodifica, processazione e risposta motoria).
Secondo questo modello i bambini con DDAI hanno un deficit a carico della componente d'attivazione che determina una compromissione a livello di esecuzione motoria, un deficit a livello delle funzioni esecutive.
Barkley ha proposto il modello ibrido nel quale il problema centrale è un deficit di inibizione e delle funzioni esecutive, dove il deficit inibitorio determina difficoltà a livello di memoria di lavoro, autoregolazione delle emozioni, motivazione ed arousal, interiorizzazione del linguaggio ed analisi/sintesi degli eventi.
Swanson parla di 3 network che controllano i processi attentivi: esecuzione/controllo, mantenimento dell'allerta, orientamento.
Sono stati individuati dei fattori di rischio (endofenotipi):

  1. iperattività motoria
  2. deficit di inibizione delle risposte impulsive
  3. ridotta capacità di tollerare l'attesa
  4. deficit di analisi temporale
  5. difficoltà nella memoria di lavoro
Sonuga-Barke ha proposto il modello a 2 vie per il DDAI, dove il disturbo è visto come il punto di arrivo di 2 processi psicologici ed evolutivi differenti e la composizione di 2 distinte vie.
La via dei pensieri e del comportamento deficitari, caratterizzata da deficit di controllo inibitori (che comporta assenza di controllo comportamentale e riduzione dell'impegno nei compiti) e la via dello stile motivazionale, dove il deficit porta alla scarsa tolleranza per l'attesa (problema di attesa della ricompensa).


Procedure e strumenti di valutazione diagnostica


La diagnosi di DDAI è un processo complesso, ed un primo motivo è quello che i bambini con questo disturbo riescono a mantenere un comportamento controllato in laboratorio, differenziandosi dal comportamento deficitario tenuto nei contesti naturali.
Per questo motivo si richiede una valutazione di tipo comportamentale ovvero in almeno 2 contesti di vita, inoltre, non esistono strumenti neuropsicologici in grado di dare la certezza della presenza di questo disturbo.
La diagnosi richiede il coinvolgimento dei genitori e degli insegnanti ed il processo di solito è il seguente:

  1. raccolta di informazioni da fonti multiple tramite interviste semistrutturate e questionari
  2. intervista al bambino per valutare il livello di consapevolezza
  3. valutazione neuropsicologica e degli apprendimenti
  4. osservazione clinica strutturata, possibilmente in un contesto naturale (casa o scuola)
I principali strumenti per effettuare la diagnosi di DDAI, sono:
  • interviste: c'è la kiddie-sads, divisa in 4 sezioni (intervista introduttiva non strutturata, intervista diagnostica di screening, supplementi diagnostici e c-gas, una scala che misura il funzionamento del bambino, che va da bisogno completo di accudimento a funzionamento superiore)
  • questionari: ci sono le scale SDAI che consentono di valutare la presenza di sintomi DDAI facendo riferimento al DSM, c'è poi la scala SDAB, la scala SDA, la scala SDAG, la scala SCOD per insegnanti e genitori, dove si possono ottenere 4 punteggi (disattenzione, iperattività-impulsività, disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta), la scala di Conners.
  • osservazione strutturata: si cerca di capire la relazione tra un comportamento e le conseguenze che lo mantengono o gli antecedenti che lo scatenano.
    Le tecniche usate per osservare clinicamente comprendono i seguenti passi: inventario dei comportamenti negativi emessi dal bambino, categorizzazione dei comportamenti negativi, osservazione strutturata delle classi di comportamento negativo
  • test cognitivi e neuropsicologici: nei test strutturati i bambini possono ottenere buoni risultati, mentre se lasciati soli tendono a rispondere male, per questo motivo non esiste alcun test che possa stabilire con certezza la presenza di DDAI.
    C'è la WISC per l'analisi delle abilità cognitive (pianificazione visuospaziale), il test della torre di londra per la valutazione delle funzioni esecutive, il WCST valuta anche lei le funzioni esecutive (capacità di flessibilità e capacità di trovare e cambiare strategie), il continuous performance test CPT misura la vigilanza, l'attenzione sostenuta e l'impulsività, il test delle campanelle valuta l'attenzione sostenuta, la prova del Go-no Go valuta le capacità di inibizione, come anche il test di stroop, mentre il dual request selective task DRST valuta la memoria di lavoro visuospaziale.


Interventi terapeutici


Il trattamento combinato (farmacologico + psicologico) sui bambini da migliori risultati anche rispetto al farmacologico per quanto riguarda gli aspetti secondari, come la relazione con i pari e il livello di soddisfazione dei genitori.
Tuttavia tramite studi di followup, si è visto che il trattamento combinato, nel tempo, perde di efficacia.
Il trattamento farmaceutico viene cmq usato per i casi più d'emergenza e per i sintomi primari (disattenzione, iperattività, impulsività), è efficace perché rapido, ma ci sono poche prove sulla sua utilità a lungo termine.
Il trattamento psicologico dura di più nel tempo ed agisce sui sintomi secondari, quelli che influiscono sulle relazioni sociali.
Lo scopo principale del trattamento è quello di rendere il bambino consapevole delle proprie difficoltà e di aiutarlo nell'acquisizione di una maggiore autoregolazione, usando sia tecniche comportamentali che cognitive.
C'è la tecnica dei gettoni, dove il bambino viene premiato per il comportamento positivo tramite l'acquisizione di punti (o punito con la perdita).
Siccome le tecniche comportamentali sono difficilmente generalizzabili al contesto di vita del bambino, spesso si associano a tecniche cognitiviste, come autoistruzioni verbali e problem solving.
Si lavora inoltre sugli aspetti attribuzionali, dove il bambino deve imparare a dare il giusto peso alle proprie azioni, deve aumentare la consapevolezza, deve sviluppare il discorso autodiretto, per imparare anche a pianificare.

Si lavora poi sui genitori con corsi di formazione detti parent training, che sostengono i genitori nel loro difficile compito e insegnano loro tecniche educative diverse da quelle tradizionali.
Gli obiettivi dei parent training sono:

  • sostenere i genitori nell'educazione del piccolo
  • evidenziare alcune abitudini di interazione problematica
  • fornire maggiori strategie di affrontamento (coping) dei momenti di difficoltà
  • migliorare / risolvere situazioni problematiche all'interno del contesto di vita quotidiano
Gli insegnanti possono intervenire sia lavorando sulla gestione del comportamento del bambino sia su aspetti più legati al rendimento scolastico.
Si insegna agli insegnanti a come comportarsi con i bambini DDAI e a non colpevolizzarli troppo, inoltre è importante che si insegni loro come costruire un contesto ben strutturato (disposizione banchi, ecc...), perché questo tipo di contesto fa migliorare il comportamento dei bambini ADHD.

Quindi occorre agire sia sui bambini, che sui genitori, che sugli insegnanti, possibilmente su più fronti possibili, considerando diversi fattori contemporaneamente.
In generale, qualsiasi tipo di intervento può dare risultati limitati se non si adatta alle esigenze del bambino, ma anche della famiglia e degli insegnanti che fan parte del contesto in cui vive il piccolo.

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1 commenti so far

Ottimo articolo che si integra per completezza con questo che ho trovato recenmente. Inserirò il vostro nella mia tesi di laurea, Grazie!

https://didatticapersuasiva.com/didattica/adhd-aspetti-evolutivi-e-fattori-di-rischio-nei-bambini

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