mercoledì 22 giugno 2016

Tecniche del colloquio (13/16): Il primo colloquio

Il primo colloquio è un colloquio di assessment che precede qualsiasi trattamento e non ha la funzione di fornire aiuto, le cui caratteristiche possono variare a seconda di chi lo conduce, al contesto in cui avviene e agli obiettivi del colloquio stesso.


Uso di domande


Le domande sono un aspetto essenziale del primo colloquio, e i diversi tipi di domanda possono provocare diverse modalità di risposta.
Le domande usate nel colloquio si dividono in: aperte, chiuse, interlocutorie, indirette/implicite, proiettive.
Le domande aperte sono quelle domande che facilitano in discorso e di solito iniziano con le parole "come, che, che cosa, quale", ma anche "dove, quando, perchè, chi" (anche se in realtà queste parole introducono domande parzialmente aperte, infatti le domande aperte variano nel grado di apertura (non facilitano il discorso in egual misura).
Le domande che iniziano con "perchè" di solito vengono evitate perchè stimolano reazioni difensive (vengono usate solo quando c'è già un buon contatto col paziente), mentre le domande che iniziano con "chi, dove, quando" spingono il paziente a fornire indicazioni molto specifiche e per questo motivo alcune volte vengono considerate come le domande chiuse.
Le domande chiuse sono quelle domande alle quali si può rispondere con un si o con un no, riducono la verbalizzazione, utili per contenere pazienti troppo verbosi, sono utili per ottenere informazioni specifiche e di solito vengono usate verso la fine del colloquio.
Le domande interlocutorie ("potrebbe, vorrebbe, può, vuole") sono domande a cui si può anche rispondere con un si o con un no, ma che cmq sollecitano un'esposizione più elaborata di sentimenti, pensieri e problemi specifici, vanno impiegate quando si è stabilito un buon contatto e vanno evitate con bambini ed adolescenti.
Le domande indirette/implicite ("mi chiedo, deve essere") consentono di capire se il paziente pensa o sente, evitando però che egli si senta obbligato a rispondere, possono apparire insinuanti o manipolative e quindi vanno usate raramente e solo quando si è stabilito un buon contatto.
Le domande proiettive ("che cosa accadrebbe se") hanno lo scopo di aiutare il paziente ad identificare, esprimere ed analizzare conflitti, valori, sensazioni e pensieri inconsci o parzialmente consci (di norma usano un "se" e invitano alla riflessione), di solito vengono usate per capire quali sono i valori e le capacità di giudizio del paziente.


Le domande non sono una tecnica neutra perchè suscitano reazioni profonde, sulle quali bisogna indagare (esistono reazioni personali ed universali).
Le domande possono mettere il paziente in una situazione difensiva, soprattutto se poste a raffica e possono renderlo meno spontaneo, e l'eccesso di domande può anche stimolare la dipendenza.
Alcune indicazioni per l'uso delle domande:
  • preparare il paziente a rispondere alle domande
  • non usare le domande come forma principale di intervento nel colloquio
  • sintonizzare le domande sui problemi rilevati nel paziente
  • usare le domande per ottenere esempi concreti di comportamento
  • affrontare con cautela le aree sensibili (a volte è meglio evitare le domande e quindi l'acquisizione di informazioni a favore della nascita di un buon rapporto tra clinico e paziente, dato che in alcuni casi le domande possono risultare troppo pesanti per il paziente, l'evitare dimostra tatto e sensibilità e può far nascere l'intesa) 


Obiettivi del primo colloquio


Gli obiettivi principali del primo colloquio sono 3:
  1. identificare, valutare ed analizzare il problema più rilevante per il paziente
  2. formarsi un'idea complessiva dello stile relazionale e della storia personale del paziente
  3. valutare la situazione attuale del paziente
Bisogna quindi per primo scoprire la natura della sofferenza, capire come mai il paziente si è rivolto al clinico (momento di 5/8 minuti dove si ascolta il punto di vista del paziente).
Bisogna stabilire le priorità e selezionare un problema, analizzare un sintomo, usare sistemi di concettualizzazioni dei problemi.

Un sistema di concettualizzazione dei problemi famoso è l'approccio multimodale di Lazarus, detto Basic ID (1976), il quale suggerisce di inquadrare e trattare i problemi tramite 7 modalità specifiche:
  1. Behavior (comportamento): vengono analizzate risposte comportamentali specifiche e concrete
  2. Affect (affetto): comprende sentimenti, emozioni riportate e descritte dal soggetto
  3. Sensation (sensazione)
  4. Imagery (immagini mentali)
  5. Cognition (processi cognitivi)
  6. Interpersonal relationships (relazioni interpersonali)
  7. Drugs (farmaci/sostanze)
Il modello di Lazarus si basa su un'ampia casistica ed è utile per clinici di diverso orientamento teorico, tuttavia attribuisce troppa importanza ai modelli cognitivi.
Qualsiasi sistema che si prefigge di agevolare l'identificazione, l'analisi e la concettualizzazione dei problemi è imperfetto, per questo è importante saper usare più sistemi.

Il modello ABC (1974) è di tipo comportamentista e parte dall'assunto che l'analisi dell'ambiente in cui vive il paziente e l'analisi dei suoi stimoli, permettono di spiegare, prevedere e controllare ogni specifico sintomo.
In questo modello A si riferisce agli antecedenti comportamentali, B al comportamento (o al problema stesso) e C alle conseguenze comportamentali.

C'è poi l'esame diagnostico, dove si ricerca la sindrome, e uno strumento di riferimento per questo scopo è il DSM-IV (1994), il quale fornisce gli standard di classificazione diagnostica.

Nel primo colloquio 3 sono le fonti per esaminare la personalità e le condizioni psichiche del paziente:
  1. la storia personale del paziente
  2. il suo modo di interagire con gli altri
  3. un esame tradizionale delle sue condizioni psichiche
Bisogna quindi capire come accedere alla storia personale del paziente (che tono usare, che domande fare, quando insistere), si possono infatti usare interventi non-direttivi per acquisire la storia personale del paziente (es. lasciandolo libero di parlare) o metodi direttivi (con domande dirette, stando attenti a capire se si parla al passato con l'umore del presente, e quindi capendo quando i sentimenti del passato possono non essere quelli descritti dal paziente), ed in alcuni casi si usano anche dei questionari.
Le aree potenzialmente significative nella storia personale del paziente sono: ricordi d'infanzia, descrizione e ricordo dei genitori, descrizione e ricordo di fratelli/sorelle, rapporti con i coetanei, esperienze nelle scuole, esperienze lavorative, servizio militare, vita affettiva, storia sessuale, aggressività, storia sanitaria, storia psichiatrica/counseling/psicoterapia, alcool e droghe, storia legale, attività ricreative, sviluppo, storia religiosa.

Gli psicoterapeuti ad orientamento psicoanalitico basano l'approccio terapeutico sull'assunto che gli individui si comportano secondo modalità coerenti, dipendenti dalla personalità o dallo stile di vita, mentre gli psicoterapeuti cognitivisti e comportamentisti rifiutano il concetto di personalità e sostengono che il comportamento è una funzione della situazione, cioè della conoscenza che si ha della situazione.
Analizzando gli stili relazionali si nota che le persone tengono ad assumere ruoli ben noti nei rapporti interpersonali, e durante il primo colloquio i dati che aiutano il clinico a raccogliere dati sugli stili relazionali provengono da 3 fonti: come il paziente si è rapportato con gli altri in passato, come funzionano le sue relazioni attuali, come interagisce con il clinico stesso.

L'interpersonal circumplex di Leary (1957) è un modello per identificare lo stile relazionale del paziente.
Questo modello sostiene che le persone si rapportano tra loro lungo un continuum strutturato su 2 dimensioni distinte: affiliazione vs ostilità, e dominanza vs sottomissione, e questo modello serve per identificare velocemente lo stile relazionale prevalente del paziente.
Non è cmq necessario e corretto fissarsi sull'idea di stile di relazione prevalente solo dopo un incontro breve, è corretto invece avere qualche idea su come di solito il paziente si relaziona e soprattutto le reazioni emotive che il paziente suscita negli altri.

Per studiare la dinamica sottostante lo stile relazionale del paziente occorre esaminare la natura delle prime relazioni significative di esso, oppure gli si possono fare domande dirette su che cosa sta pensando, sulle sue emozioni e sui ricordi associati alla sua possibile variazione di stile comportamentale.
Per stabilire se il paziente è adatto ad una terapia di tipo psicoanalitico, si valuta la sua capacità di affrontare una terapia orientata verso l'insight, e cmq in generale, non esiste miglior strumento della relazione tra clinico e paziente per esaminare le tendenze relazionali del paziente stesso.
Cmq valutare la storia personale del paziente e il suo stile relazionale è un compito complesso che può richiedere più sedute.

Successivamente si studia la situazione attuale del paziente, chiedendogli quale tipo di vita conduce attualmente, e questo è anche importante perchè è bene non concludere un colloquio parlando del passato.
Si parla anche del futuro nel primo colloquio, perchè il paziente si rivolge al clinico per la speranza di un futuro migliore e quindi il futuro fa parte degli obiettivi della terapia, e parlare degli obiettivi della terapia durante il primo colloquio pone le premesse per la sua conclusione.
Con una chiara definizione del mutamento desiderato, clinico e paziente possono verificare insieme il progresso della terapia, e stabilire assieme quando si sta avvicinando la sua conclusione.


Fattori che influiscono sulle modalità del primo colloquio


E' impossibile analizzare tutti gli argomenti prefissati nei 50 minuti del primo colloquio, quindi bisognerà fare delle scelte, su quali argomenti mettere in secondo piano o accantonare.

I questionari vengono usati per reperire velocemente informazioni, ma non bisogna abusarne perchè possono rovinare l'intesa con il paziente, tuttavia, questionari brevi e discreti possono essere un buon mezzo per preparare il clinico all'incontro col paziente (facendogli individuare da subito alcune aree di maggiore interesse).


Spesso le informazioni da reperire sono condizionate dal contesto istituzionale, ad esempio ospedali psichiatrici danno importanza alle informazioni di carattere diagnostico e alla storia del paziente, mentre in altri contesti ci si concentra sul problema e sul sintomo.
Quindi alla fine del primo colloquio il clinico dovrebbe tenere presenti le necessità dell'istituzione da cui dipende.

Il fattore che cmq influisce maggiormente sulle informazioni reperite è l'orientamento teorico del clinico: i comportamentisti e cognitivisti si focalizzano sui problemi del momento, gli psicoanalisti prediligono la storia personale del paziente, quelli orientati sulla persona danno importanza alla situazione presente e come il paziente vive se stesso.
Inoltre quelli orientati sulla persona e gli psicoanalisti sono meno propensi all'uso di questionari o di procedure computerizzate.

La formazione e l'affiliazione professionale del clinico possono avere un'influenza determinante sulle informazioni raccolte.
Gli psichiatri sottolineano l'importanza del colloquio psichiatrico e l'intervista diagnostica basata sul DSM-IV, i clinici sono interessati all'assessment e alla diagnosi ma sottolineando l'importanza della valutazione del problema e dell'analisi comportamentale e cognitivista, quelli orientati al counseling favoriscono l'ascolto e le strategie d'aiuto, mentre gli assistenti sociali sono interessati alla raccolta di dati inerenti allo sviluppo, alla pianificazione del trattamento e alle capacità d'ascolto.

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