lunedì 20 giugno 2016

Tecniche del colloquio (11/16): Evoluzione storica del colloquio

I colloqui clinici fatti da operatori di formazione diversa sono differenti, e gli elementi di diversità sono:

  • la scelta delle aree di indagine
  • la tecnica di domanda
  • il modo in cui l'operatore si relaziona col paziente
In generale:
  • il colloquio è lo strumento d'elezione per qualsiasi operatore della salute mentale
  • il colloquio assume caratteristiche specifiche in base al modello etiopatogenetico del clinico e la sua conduzione dipende dal modello di disturbo psichico prescelto
  • il colloquio è uno strumento di ricerca, usato per confermare o accantonare alcune ipotesi
  • il colloquio è lo strumento d'elezione per molte tecniche psicoterapeutiche
I colloqui vengono classificati in base:
  • al loro scopo
  • al tipo di modello etiopatogenetico del clinico
  • ad alcune caratteristiche della relazione col paziente (es. colloqui direttivi e non direttivi)
  • al contesto terapeutico in cui sono usati
  • ad un elemento clinico specifico del paziente (colloquio con paziente violento, timido, ecc...) 


Gli anni 40


All'inizio degli anni 40 il disturbo psichico è considerato un disturbo di tipo medico, per il quale può essere indicato anche il ricovero in una struttura ausiliare.
Il modello medico di disturbo psichico è considerato come un modello meccanico (la parte malata della psiche equivale alla parte malata dell'organismo), ma progressivamente la malattia mentale diventa un disturbo di interesse psicologico.
In questi anni, lo psicologo clinico non è deputato a curare perchè lo spazio terapeutico è in mano ai medici e solo progressivamente questa cosa cambia e passa in mano agli psicologi, a causa dei troppi casi presenti durante la seconda guerra mondiale che i medici non riescono a gestire e grazie a nuove tecniche terapeutiche di origine non medica.
Con l'avvento di Hitler molti psicologi e psicoanalisti fuggono in America, dove trovano un terreno molto fertile dato dalla psichiatria americana, e successivamente anche le strutture manicomiali iniziano a ricevere pesanti critiche, a causa dell'aspetto segregante e dei limiti terapeutici.
All'inizio nonostante i tentativi innovativi, i trattamenti continuano a basarsi sull'uso di farmaci sedativi e sul ricorso a terapie somatiche, e solo alla fine degli anni 40 (1947) il National Mental Act sancisce la necessità di formare degli operatori per trattamenti non esclusivamente medici.


Manca un sistema diagnostico consensuale e lo schema diagnostico più usato è quello kraepeliniano, dove i disturbi sono considerati entità fisse con andamento prevedibile, e assieme a questo modello si usano alcuni di stampo psicoanalitico.
Successivamente Glover individua l'esistenza di nessi tra disturbo psichico ed istanze del modello strutturale, creando le basi per la nosografia psicodinamica.
Inizia ad essere al centro dell'attenzione la possibilità di individuare il trattamento più adeguato per il paziente, anche se gli strumenti a disposizione sono ancora pochi e i risultati sono ancora scarsi, è cmq l'esordio della teoria clinica (il primo psicologo clinico compare negli anni 50).
Nel modello del colloquio non psichiatrico, il focus si sposta dalla raccolta dei dati alla qualità della relazione con il paziente, tuttavia il tentativo di esportare il modello psicoanalitico negli ospedali ha molti problemi (vengono cmq usati il transfert e il controtransfert), e alla fine degli anni 40 si tenta invece di differenziare il colloquio clinico dall'esame psichico.
Infine l'attenzione si sposta dai dati oggettivi, che contraddistinguono l'esame psichico, ai dati soggettivi, che diventano un elemento integrante per la formulazione della diagnosi.



Gli anni 50-60


In questi anni, compare il primo sistema classificatorio consensuale (DSM-I) si modifica il modello medico di disturbo psichico (da meccanico a biomedico) e vengono cercati modelli alternativi.

Il DSM-I viene pubblicato nel 1952 con l'obiettivo di fornire ai diversi operatori uno strumento di comunicazione consensuale.
L'orientamento prevalente è quello di A. Meyer, che contestualizza i disturbi psichici come reactions, ovvero come reazioni psicobiologiche a stress esistenziali muticausali.
In questi anni: compaiono gli ansiolitici, gli antidepressivi, il litio viene usato per curare gli episodi maniacali e depressivi, escono i primi farmaci antipsicotici per il trattamento della schizofrenia, nascono alternative al manicomi (es. day hospital, comunità terapeutica), nascono i primi modelli sociogenetici del disturbo psichico, i modelli behavioristi, umanistici, esistenziali, compaiono psicoterapie brevi, i trattamenti familiari e le terapie di gruppo, nascono nuove categorie (pazienti psicosomatici, con disturbo della condotta, ecc...).
Il colloquio quindi viene usato in modo diverso, lo strumento cambia in base allo scopo, alla specificità della relazione con il paziente, alle caratteristiche del paziente e al contesto terapeutico.
Nel 1955 il Mental Health Act stabilisce che l'obiettivo del trattamento dei pazienti affetti da gravi disturbi psichiatrici è quello di metterli in condizione di vivere in modo normale, inseriti nella comunità.

Si ha un evoluzione del modello di colloquio, dove i dati che arrivano dall'esame psichico vengono integrati con quelli della struttura della personalità.
Il colloquio psichiatrico cambia, non è più sufficiente un colloquio di tipo domanda e risposta, ma si ha il libero scambio tra psichiatra e paziente, mentre nell'ambito psicoanalitico si passa dall'attenzione nel primo colloquio dai dati associativi ai dati oggettivi.
Nei colloqui psicoanalitici di questi anni, bisogna:
  • raccogliere dati anamnestici che emergono dalla descrizione della vita del paziente
  • conoscere i motivi che hanno portato il paziente a cercare aiuto e le condizioni della sua vita attuale (interessi, ecc...)
  • comprendere quanto il problema del paziente sia interno o reattivo all'ambiente
  • studiare i sintomi e cercarne le connessioni con gli aspetti della vita del paziente
  • far emergere tramite domande, gli elementi emotivi inconsci
La funzione dell'intervista psicoanalitica diagnostica è quella di aiutare il clinico a ricordare i punti essenziali da indagare, inoltre, tanto più il paziente è disturbato e tanto è maggiore l'importanza di informazioni supplementari provenienti da familiari o altri operatori.

Si ipotizza che il disturbo psicosomatico sia più facilmente diagnosticabile e trattabile usando un modello psicoanalitico, e si pensa che bisogna osservare più che modificare il comportamento del paziente.
L'anamnesi associativa è un metodo per mantenere la situazione del colloquio non contaminata dai pregiudizi e dalle fantasie del medico, e per scoprire le fantasie inconsce del paziente, i suoi desideri, le sue inclinazioni, ed il rapporto tra tutto questo e quello che il paziente lamenta, dove bisogna non solo registrare ciò che il paziente ha detto, ma anche come lo ha detto.
In questo metodo si chiede al paziente di dire non solo ciò che pensa, ma anche ciò che sente, si evitano domande chiuse e si fanno interventi finalizzati a facilitare la comunicazione (tecnica associativa), inoltre, il clinico ha un ruolo passivo.

H.S. Sullivan (1954) propone un modello di colloquio per il disturbo psichico che si basa su 3 presupposti teorici:
  1. non si può mai isolare una personalità dal complesso di relazioni interpersonali in cui la persona vive
  2. la personalità si manifesta nelle situazioni interpersonali e in nessun altro modo
  3. gli atti di una persona hanno origine da un complesso di fattori e la nostra osservazione di questi atti è influenzata dalle nostre esperienze precedenti
Quindi l'attenzione si posta dall'intrapsichico all'interpersonale.
Sullivan cambia la definizione di disturbo mentale, dicendo che per avere un senso deve arrivare a coprire tutto il campo degli atti inadeguati rispetto alle relazioni interpersonali.
In questo modello il clinico è un osservatore-partecipante (con ruolo attivo di conduttore che fa domande), che instaura un clima emotivo favorevole per tentare di modificare i comportamenti del paziente.
I presupposti del rapporto esperto cliente sono:
  • il paziente è estraneo, e va trattato come tale
  • le relazioni interpersonali sono soggette a mutamenti, anche nel corso del colloquio
  • il paziente è una persona simile allo psichiatra, e come tale deve essere trattato
  • lo psichiatra deve dare informazioni al paziente che gli consentano di capire il proprio funzionamento
M. Gill (1954) vuole creare un modello di colloquio che sia al di là dei vari orientamenti (psicoanalitico, psichiatrico, ecc...), ma che sia uno strumento adeguato alla realtà clinica del paziente.
Secondo Gill:
  • il colloquio è uno strumento diagnostico e terapeutico di elezione in psichiatria, con l'obiettivo di instaurare un rapporto tra 2 persone sconosciute, di dare una valutazione della situazione psicosociale del paziente e di rafforzare il desiderio del paziente di intraprendere la terapia, e le finalità del colloquio sono la formulazione della diagnosi e l'indicazione del trattamento, mentre le aree da indagare riguardano la natura del disturbo, la motivazione al trattamento, l'analisi dei fattori interni ed esterni
  • l'andamento del colloquio è influenzato dalla personalità degli interlocutori, dalle reciproche percezioni di ruolo, dagli scopi e dalla tecnica usata
  • la situazione del colloquio è ansiogena per entrambi gli interlocutori, che mettono in atto azioni difensive in base alla loro personalità
  • fare bene il primo colloquio significa ottenere informazioni indispensabili per la diagnosi
  • la tecnica di conduzione del colloquio cambia quando si passa dalla fase diagnostica a quella finalizzata all'indicazione 


Dalla fine degli anni 60 ai primi anni 90


In questo periodo diminuisce l'importanza attribuita al colloquio clinico perchè la teoria clinica ed i diversi modelli di disturbo psichico subiscono molti cambiamenti, e con Bateson e la scuola di Palo Alto, il disturbo psichico è considerato una conseguenza di una distorsione della comunicazione e delle interazioni tra i membri del gruppo, e quindi perde la connotazione medica.
Si riduce il potere esplicativo dei modelli organogenetici e psicogenetici ed aumenta quello dei sociogenetici.


Gli indirizzi in psichiatria di questo periodo sono:

scuola teoria di riferimento campo di applicazione
psichiatria biologica medicina farmacologia, studi genetici, ricerche sul SNC
psichiatria psicoanalitica concetti psicoanalisi freudiana, psicologia dell'Io psicoterapia ad orientamento psicoanalitico e psicoanalisi
psichiatria interpersonale psicologia sociale, psicologia evolutiva, teoria interpersonale psicoterapia con i pazienti schizofrenici, depressi o altri quadri psicopatologici gravi
psichiatria sociale sociologia, antropologia, altre scienze sociali studi epidemiologici, psichiatria sociale e di comunità, sociologia
psichiatria cognitivo-comportamentale learning theory, psicologia cognitiva, comportamentismo terapie comportamentali, terapie cognitive, trattamento sintomatico

Modello organogenetico: psichiatria biologica
Si considera disease qualsiasi condizione che sia associata a fastidio, dolore, invalidità, morte o una maggior propensione a tali condizioni, che sia considerata dal medico e dal profano, propriamente di responsabilità medica.
Per disease si intende un cluster di sintomi e/o segni che hanno andamento più o meno prevedibile, inoltre il termine malattia mentale include tutte le deviazioni che possono portare la persona a diventare paziente, e si intende la malattia mentale come disease associato ad una sindrome clinica o legato ad un disturbo biologico.

Modello sociogenetico: antipsichiatra
Gli psichiatri non si occupano di malattie mentali e del loro trattamento, ma hanno a che fare con difficoltà di carattere personale, sociale ed etico.

Modello psicogenetico: psichiatria psicoanalitica
I fenomeni mentali sono il risultato di un conflitto che deriva da forze inconsce opposte che possono essere un desiderio e una difesa contro tale desiderio, oppure diverse parti intrapsichiche con finalità differenti, oppure un impulso in contrasto con la consapevolezza interiorizzata delle richieste della realtà esterna.

Modello psicogenetico: pragmatica della comunicazione
La condizione del paziente non è statica, ma varia al variare della situazione interpersonale e dell'ottica preconcetta dell'osservatore, quindi si considerano i sintomi psichiatrici come un comportamento che si adegua a una interazione in corso.

Modello psicogenetico: organizzazioni cognitive personali
Ottica sistemico-processuale dove si pensa che le molte manifestazioni psicopatologiche siano ricondotte a pochi modelli di chiusura organizzazionale, i quali possono produrre molti modelli cognitivi, emotivi e motori nel tentativo di ordinare specifiche oscillazioni perturbative.

Alla fine degli anni 60 esistono operatori di diversa formazione (psichiatra, psicologo clinico, psicoterapeuta) che spesso propongono metodologie d'intervento in conflitto tra loro, ci sono diverse strutture di ricovero e molti psicofarmaci in circolazione.
Ogni modello cerca di circoscrivere il proprio territorio ed il confronto e l'integrazione è molto problematico, c'è un clima di guerra (es. psichiatri vs psicoterapeuti vs psicologi clinici) e la conflittualità spesso è presente anche all'interno dello stesso modello.
Le strategie cliniche sono ancora limitate e la sofferenza psichica è ancora di difficile definizione, si ha difficoltà quindi a dare le definizioni anche per colpa di questi conflitti, e chi fa parte di una determinata scuola definisce in un certo modo e opera metodologicamente secondo il credo dei propri insegnanti, in contrasto con altre scuole.

Alla fine degli anni 60 prevale l'impronta sociogenetica antipsichiatrica, che ricollega la malattia mentale a disfunzioni sociali e usa di più concetti come sentimenti, intuizione, empatia, incontro, sensibilità e spontaneità al posto di concetti come analisi, verifica e valutazione.
In questo modello, la malattia mentale è vista come un insieme di comportamenti politicamente definiti e socialmente rinforzati.
In questo periodo si provano le forme alternative di ricovero (perchè si criticano i manicomi come case di reclusione), come day hospital, half-way houses, comunità terapeutiche, night hospital, ma sopraggiungono problemi conseguenti alla deistituzionalizzazione (ci sono ad esempio molti malati che vagano per le strade).

Col tempo il modello sociogenetico perde di interesse e riemerge il modello medico con l'interesse per la diagnosi, e nel 1968 esce il DSM-II, che però presenta diversi limiti: è vago, incoerente, debole empiricamente, e quindi di scarsa utilità sia per i clinici che per gli psichiatri che si occupano della ricerca.
Nel 1980 esce il DSM-III, strumento nosografico-descrittivo di matrice psichiatrica, costituisce l'affermazione del modello medico di disturbo psichico.
Nel 1986 esce il DSM-III-R, che modifica i precedenti criteri diagnostici, cambia la classificazione di alcuni disturbi come la schizofrenia, i disturbi affettivi, i disturbi nevrotici e i disturbi di personalità.

Si afferma la visione multideterministica del disturbo psichico, che afferma che l'etiologia della maggior parte dei disturbi è multipla, ha quindi basi biologiche, sociali, psicologiche e quindi va curata con le metodologie delle varie scuole.
E' vero cmq che ogni clinico usa un modello diagnostico specifico per la propria scuola e quindi ad esempio esistono 3 modelli con trattamenti diversi per il disturbo borderline.
La psicoterapia è la classe vincente (al posto della psichiatria), e da li ogni tecnico usa le metodologie della propria scuola di appartenenza.

Si inizia a pensare alle indicazioni e alle controindicazioni nell'utilizzo delle varie metodologie, e i presupposti per l'utilizzo di tali metodologie sono:
  • le psicoterapie usano metodologie diverse tra loro che prendono in considerazione aspetti diversi della vita del paziente
  • le psicoterapie non producono gli stessi effetti
  • le psicoterapie non sono procedure innocue
  • esistono molte psicoterapie e spetta allo psicologo di scegliere quella adeguata
I trattamenti possono avere anche esito negativo e ciò può dipendere dal paziente, dal terapeuta, dalla qualità della loro interazione, dagli errori nell'uso della tecnica o dalla sua non idoneità, e quindi la scelta del trattamento diventa molto importante, tanto che vengono creati alcuni modelli per formalizzarla: il modello multimodale, il modello transteoretico (uno stesso sintomo in pazienti diversi può essere disturbante a livelli diversi), il modello sistematico eclettico (prende in considerazione la complessità del sintomo, il potenziale di reattività, lo stile difensivo del paziente), il modello differenziale (considera anche interventi non proprio psicoterapeutici ed è molto flessibile).

Dalla fine degli anni 60 fino agli anni 90 gli aspetti tecnici dello strumento e il suo legame con la teoria clinica perdono significato, nascono nuove terapie farmacologiche, gli operatori prestano poca attenzione al colloquio, che prende un significato specifico solo nell'ambito della tecnica terapeutica.
I lavori sul colloquio si dividono in:
  • colloqui che usano il modello nosografico-descrittivo del DSM
  • colloqui specializzati, organizzati in base ad uno specifico orientamento teorico
Si passa dal colloquio insight-oriented al colloquio symptom-behavior-oriented che presuppone che i disturbi psichiatrici si manifestano con set caratteristico di segni, sintomi e comportamenti, che abbiano un andamento prevedibile, una specifica risposta al trattamento e una certa familiarità, e l'obiettivo di questo tipo di colloquio è quello di classificare i disturbi del paziente in base a categorie diagnostiche definite.

Il modello multifasico di E. Othmer e S.C. Ohtmer è finalizzato a formulare una diagnosi nosografica DSM, dove si afferma che il paziente ha i pezzi del rompicapo ed il clinico conosce il disegno che deve ricomporre.
Per formulare una diagnosi con questo modello bisogna:
  1. osservare gli indizi diagnostici
  2. individuare il problema
  3. fare il follow-up delle impressioni iniziali
  4. fare anamnesi remota (raccogliere una anamnesi premorbosa per poter indagare sull'andamento del disturbo)
  5. ottenere un quadro completo
  6. fare la diagnosi
  7. prognosi
L'ordine di questi punti è spesso determinato dal paziente, per questo motivo non esiste una modalità di colloquio adeguata per tutti i pazienti.

Vengono creati colloqui strutturati e semi-strutturati con lo scopo di risolvere il problema della scarsa validità e attendibilità diagnostica.
Si cerca di costringere il clinico a raccogliere i dati in maniera preordinata e obbligarlo a riferirsi a categorie diagnostiche precise che attribuiscono lo stesso significato a gruppi di sintomi, ci sono quindi dei protocolli da seguire con domande precise da fare.

I colloqui di tipo psicodinamico si dividono in colloqui basati sulla dinamica delle strutture intrapsichiche e colloqui centrati sulle relazioni oggettuali e il funzionamento interpersonale.
Gli obiettivi di questi colloqui sono di ottenere elementi significativi (informazioni) e creare un'atmosfera che permetta al materiale inconscio di emergere.
La relazione che si instaura col paziente non è definita a priori, ma vuole cmq permettere al paziente di mostrasi per come è, e quindi il colloquio va condotto in base alle caratteristiche del paziente, ed il ruolo del clinico è quello dell'interlocutore che non interviene attivamente nel colloquio, inoltre vanno valutate le qualità delle relazioni oggettuali e l'organizzazione del mondo delle rappresentazioni interne.
Le funzioni dell'Io da valutare nel colloquio sono: rapporto con la realtà, regolazione e controllo delle pulsioni sessuali e aggressive, processi di pensiero, meccanismi di difesa, funzioni autonome, funzioni sintetiche, relazioni oggettuali.
Le funzioni del Super-Io da valutare sono invece: coscienza, ideale dell'Io.
Il risultato di questa psicoterapia è strettamente correlato con la comprensione che si ha del paziente.

L'approccio comportamentale pone particolare attenzione alla possibilità che il comportamento sia provocato da stimoli ambientali, quindi una parte del colloquio deve essere orientata ad identificare gli stimoli che possono provocare il comportamento problematico, per poi analizzare le conseguenze di tale comportamento.
Secondo questo approccio ci sono aree comuni da indagare nei vari pazienti e aree specifiche in base al tipo di disturbo.
Il colloquio diagnostico di questo orientamento considera 3 modalità di risposta conseguenti allo stimolo (comportamento manifesto, componenti cognitive, attività fisiologica) e valuta quali eventi possono aver contribuito a scatenare, ridurre o mantenere il comportamento, ed indaga i pensieri e le emozioni che causano il comportamento-problema.
Bisogna indagare sugli antecedenti al problema (che possono essere di tipo affettivo, somatico, comportamentali, cognitivi, legati all'ambiente e ai rapporti interpersonali): nell'immediato quali situazioni preesistenti al verificarsi della situazione problematica rendono più probabile la sua comparsa, quali la rendono meno probabile e quali altre situazioni precedenti influenzano ancora la comparsa del problema.
Le aree di indagine sono: informazioni generali, dati evolutivi (salute), problema attuale (evoluzione), natura del problema, caratteristiche del problema, eziologia, mantenimento, trattamenti precedenti, altro (motivazione, aspettative).


Gli anni 90


Si riduce la tendenza alla differenziazione tra i modelli di disturbo psichico e aumenta quella a far cercare elementi di integrazione, aumentando anche la concordanza tra le aree da indagare tra le varie scuole e si pone di più l'attenzione al trattamento più adeguato per il paziente.

Il tentativo di integrazione dei modelli è reso possibile grazie a 3 fattori:
  1. la minor considerazione della validità e attendibilità della diagnosi psichiatrica
  2. il riconoscimento dei limiti intrinseci alla scelta di ateoricità dei DSM
  3. il riconoscimento della multicausalità dei disturbi psichici
Si incomincia a delineare in psichiatria la figura di un operatore della salute mentale, che pur avendo alcune specificità dovute alla propria scuola, ha aree di intervento comuni: la formulazione della diagnosi e della prognosi, l'indicazione e la controindicazione ai trattamenti.

La diagnosi può assumere caratteristiche negative se diventa:
  • un esercizio di incasellamento nosologico al posto che un processo di chiarificazione
  • un rapporto statico e passivo con il paziente
  • un'attività prevalentemente centrata sul clinico invece che un compito condiviso con il paziente
L'efficacia del trattamento è la conseguenza di una serie di decisioni specifiche e mirate prese in momenti successivi, e quindi non è possibile sviluppare un trattamento efficace con informazioni prese solo in un determinato momento o in base a caratteristiche statiche di un paziente.

Gli anni 90 si contraddistinguono perchè vogliono diagnosticare e curare al di là dei modelli delle scuole, si è smesso di cercare il trattamento più efficace in assoluto e si è iniziato a considerare l'efficacia dei singoli modelli a seconda dei casi specifici.
Si è fatta differenziazione tra colloqui specializzati e colloqui clinici di consultazione, dove i primi sono organizzati in base ad un preciso orientamento teorico, mentre i secondi impostano tutto in base ad ogni singolo caso specifico (il colloquio clinico, se ben condotto, non deve avere nessuna scelta preordinata).
Si scopre la necessità di una buona alleanza diagnostica, che è un rapporto emotivo particolare tra clinico e paziente che consente di trovare uno o più oggetti comuni di lavoro, dove entrambi abbiano un ruolo e delle competenze da mettere a disposizione per svolgere il compito pattuito.
Questa alleanza è un risultato dovuto alle capacità del clinico e alle caratteristiche personali del paziente (comprese le sue esperienze passate), ed è la condizione fondamentale perchè si possa formulare la diagnosi, nonché la garanzia implicita dell'attenzione al modello del paziente.
Nel 1993 J. Morrison svolge un lavoro sul primo colloquio, rivolgendosi a tutti gli operatori, affermando che l'operatore fa un buon colloquio se sa ottenere nel minor tempo possibile le informazioni necessarie per la diagnosi e l'indicazione al trattamento, mantenendo al tempo stesso una buona alleanza di lavoro.
Secondo Morrison tutti i clinici dovrebbero riuscire a vedere il paziente dal punto di vista biologico, dinamico, sociale e comportamentale, dato che ogni paziente può aver bisogno di trattamento in una o più di queste aree.

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