venerdì 10 giugno 2016

Tecniche del colloquio (1/16): La consultazione

Consultazione o processo diagnostico


La consultazione è un incontro dove lo psicologo ed il paziente hanno un oggetto comune ma non necessariamente lo stesso obiettivo, perchè sono 2 estranei con compiti differenti: lo psicologo vuole conseguire l'obiettivo del paziente, e il paziente con un problema, cerca di trovare una soluzione che non necessariamente coincide con la richiesta di un parere.
L'oggetto comune della consultazione è il disagio, il disturbo, la sofferenza, il sintomo lamentato dal paziente, che può manifestarsi tramite via somatica (mal di testa, di pancia ecc...) o via psichica (ansia, depressione, ecc...).


Raramente la persona arriva dallo psicologo sapendo bene cosa aspettarsi e conoscendo bene la figura dello psicologo, questo per via di numerosi stereotipi che ci sono in giro, tuttavia se la persona ci arriva spontaneamente, significa che ha fatto un certo percorso interiore che gli ha fatto capire di avere un problema.
Bisogna quindi capire quali siano le funzioni che secondo il paziente lo psicologo svolge e cosa si aspetta che possa fare per lui, e qual è il processo decisionale che lo ha indotto a chiedere un appuntamento.
La consultazione è cmq un evento solitamente di breve durata, all'interno di un processo continuo finalizzato a trovare un significato, dare un valore ed agire sui sintomi.


Il motivo della consultazione


La consultazione raccoglie i dati tramite vari strumenti: il colloquio clinico, il colloquio psichiatrico, il colloquio anamnestico, gli strumenti testologici.
Il colloquio è un processo interattivo che avviene tra 2 persone, che è diverso dalla conversazione perchè l'interazione è finalizzata al conseguimento di un obiettivo predeterminato.

Il colloquio clinico è invece un incontro tra una persona che soffre e cerca aiuto e un'altra in grado di aiutarla a cui si richiede di più che il semplice ascolto.
Gli obiettivi del colloquio clinico sono: ottenere nel minor tempo possibile il maggior numero di informazioni utili, creare e mantenere una buona alleanza col paziente, raccogliere i dati che provengono sia dal colloquio (contenuto) sia dalla modalità d'interazione (processo).
Le finalità dipendono da diversi fattori: dalla richiesta del paziente, dall'età del paziente, dalla gravità della situazione clinica, dalla capacità di alleanza diagnostica, dalle caratteristiche della struttura e/o dell'operatore.


In un colloquio non sempre si possono raccogliere le informazioni in maniera sistematica, perchè non sempre la percezione della malattia è corretta, e quindi non sempre la diagnosi del paziente è confermata dal clinico, e per questo motivo il clinico deve avere in mente uno schema delle aree da indagare.

Nel primo colloquio: il paziente arriva da una persona che non conosce, il mestiere dello psicologo è percepito come insolito, non si hanno informazioni sul medico, ma alcuni dicono che sia bravo.
L'incontro tra psicologo e paziente è un incontro tra estranei, che hanno uno stesso obiettivo: occuparsi del male del paziente.
Il clinico deve quindi cercare di creare un ambiente che risponda alle necessità del paziente, valutando l'atteggiamento da tenere (non sempre essere amichevoli mette a proprio agio), cercando di non far sentire il paziente sotto pressione.
Il clinico deve dunque mettersi in una posizione non di valutazione, ma di ascolto, il paziente deve potersi esprimere liberamente, e in questo frangente le domande aperte servono a rompere il ghiaccio, mentre rimanere in silenzio (aspettando l'iniziativa del paziente) può essere controproducente nella fase iniziale del colloquio conoscitivo, così come fare domande chiuse e rigide.
Invece nel colloquio di consultazione le domande aperte si alternano alle chiuse.



Il sintomo


I pazienti non portano al dottore un problema, ma una serie di disturbi che secondo loro si discostano dalla normalità, e non è detto che i sintomi accusati coincidano con i sintomi realmente posseduti, il compito del dottore è quindi quello di completare il quadro del paziente, capendo il reale problema.
Il medico deve indagare ogni sintomo, per poi decidere il peso da dare ai sintomi indagati.
Lo psicologo deve quindi: raccogliere i dati, formulare ipotesi, verificare le ipotesi formulate e fare una diagnosi.
La diagnosi è il primo passo nel processo tecnologico che permette di trasformare una persona con un fastidio non ben precisato in un paziente con un disturbo psichico definito.
Il sintomo è qualsiasi sensazione soggettiva in base alla quale il paziente decide di avere qualcosa che non funziona e lo riporta al clinico.
Il segno è il rilievo che il clinico ed il paziente ricavano dall'osservazione obiettiva.
La sindrome è il complesso di sintomi che caratterizzano una determinata malattia.

Le aree da indagare per il sintomo sono: caratteristiche, gravità e modificazioni, contesto in cui si presenta, ricorrenze.
Si possono indagare queste aree tramite la compilazione da parte del paziente di scale di autovalutazione.
Secondo Othmer e Othmer le domande da fare per indagare in queste aree sono:
  1. Caratteristiche del sintomo: bisogna far domande per indagare la specificità del sintomo descritto dal paziente (o non descritto), una volta definito, bisogna considerare quali quadri psicopatologici comprendono il sintomo, e quali cluster di sintomi debbano essere presenti per diagnosticare una sindrome (grazie a schemi ad albero presenti nel DSM-IV).
  2. Gravità e/o modificazione: si valuta tramite 4 parametri, la durata, la frequenza, l'intensità e la gravità, tramite domande specifiche al paziente.
    La valutazione della gravità va fatta basandosi su indici specifici, ad esempio secondo il DSM-IV ci deve essere una compromissione del funzionamento sociale, del funzionamento lavorativo, di altre aree importanti.
  3. Contesto in cui si presenta il sintomo: si valuta secondo 6 parametri: 1)contesto di insorgenza 2)gli antecedenti, la sequenza, la progressione ed i fattori scatenanti 3)le aspettative, le credenze, i significati e gli affetti correlati 4)i conseguenti rinforzi o svantaggi 5)la comprensione del paziente 6)l'aspettativa dell'esito, la modificabilità, la comprensione delle cause.
    Gli antecedenti sono eventi esterni o interni che provocano la situazione problematica e rendono probabile l'insorgenza del sintomo, alcuni antecedenti si verificano subito prima, altri molto prima e variano a seconda delle persone e possono essere: affettivi, somatici, comportamentali, cognitivi, legati all'ambiente, legati ai rapporti interpersonali.
    Le conseguenze invece sono quelle che capitano dopo la comparsa del problema e in qualche modo lo condizionano e lo mantengono (e hanno le stesse caratteristiche degli antecedenti).
  4. Ricorrenze: si cercano di rilevare somiglianze e differenze rispetto ad episodi precedenti, bisogna raccogliere informazioni sulle modalità d'insorgenza, che possono essere: insorgenza alla nascita, insorgenza insidiosa, insorgenza acuta.
    Si vuole indagare sul decorso (la sua evoluzione nel tempo), dove può esserci il decorso acuto (breve) e il decorso cronico (prolungato).
    Il disturbo può dunque avere un: decorso cronico, decorso cronico stabile, decorso cronico fluttuabile, decorso cronico con deterioramento progressivo, decorso cronico con deterioramento ed esacerbazione.
    Per studiare il decorso vanno anche analizzati il comportamento, i pensieri, le emozioni.
    Occorre anche valutare le conseguenze del disturbo, capire come esso modifica il rapporto coi familiari, con gli amici, nel lavoro, nella vita sociale.
Strumenti di valutazione del sintomo
Esistono diverse scale per la valutazione dei sintomi.

La scala self-report symptom inventory-revised (SCL-90-R), misura la sintomatologia dell'ultima settimana fino al momento della valutazione, ed è composta da 90 item che rilevano 9 dimensioni (valutato su scala da 0 a 4, dove 0 indica assenza nel periodo valutato, 4 alta presenza o gravità):
  1. somatizzazione
  2. ossessività-compulsività
  3. sensitività
  4. depressione
  5. ansia
  6. collera-ostilità
  7. ansia fobica
  8. ideazione paranoide
  9. psicoticismo
Esistono anche interviste strutturate e interviste semi-strutturate per i diversi quadri psicopatologici che possono essere per specifici quadri o generali.

Il SCID (structured clinical interview for DSM) è un'intervista diagnostica semi-strutturata per la diagnosi della parte dei disturbi di Asse 1 e per quelli di personalità (asse 2), esistono 3 versioni per valutare i disturbi asse 1 nell'adulto e 1 per quelli dell'asse 2:
  1. la SCID-P patient version, per pazienti ricoverati
  2. la SCID-OP outpatient version, per pazienti ambulatoriali, che necessitano solo di poche domande di screening
  3. la SCID-NP nonpatien version, per pazienti esenti da patologia psichiatrica, come ad esempio nel caso di campioni di controllo.
  4. la SCID-II, per valutazione di disturbi sull'asse 2.
Per i disturbi dell'asse 1 la SCID fornisce anche la valutazione di gravità e consente di stabilire la percentuale di tempo in cui i disturbi sono stati presenti negli ultimi 5 anni, e ciascuna delle 3 versioni è costituita da 8/9 moduli, dove ogni modulo ha domande per indagare l'esistenza dei criteri per diverse categorie diagnostiche, e ogni modulo è indipendente.

L'EDE (eating disorder examination) è un colloquio clinico semi-strutturato finalizzato alla diagnosi specifica dei disturbi alimentari, dove ci sono item che valutano i comportamenti verso l'alimentazione eccessiva e i metodi inappropriati per il controllo del peso, e item che descrivono le 4 aree di interesse psicopatologico:
  1. area della restrizione
  2. area della preoccupazione per l'alimentazione
  3. area della preoccupazione per la forma fisica
  4. area della preoccupazione per il peso

Dal sintomo alla sindrome


Ogni sindrome o disturbo clinico è contraddistinto da una sintomatologia essenziale, un sintomo necessario ma non sufficiente, e una sintomatologia accessoria.
Una volta individuato il sintomo presentato dal paziente, il clinico deve chiedersi in quali quadri psicopatologici possa comparire, e deve fare una diagnosi differenziale.
Un sintomo di solito non è peculiare ed unico di un disturbo, inoltre un sintomo non è mai isolato, ma è organizzato all'interno di un cluster di sintomi che hanno maggiori probabilità di essere presenti in specifici quadri psicopatologici.
Un sintomo non è circoscritto ed isolato, ed il passare dal sintomo alla sindrome implica rilevare come e in quale misura questo è avvenuto, in modo da capire il funzionamento del paziente.

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