sabato 31 dicembre 2016

Criminologia (6/8): Questione criminale e questione devianza nel dibattito attuale

La situazione attuale della criminologia è caratterizzata dalla compresenza dei diversi paradigmi, e le varie teorie che nascono di volta in volta contengono sempre le tracce delle teorie che le precedono.
Ogni teoria è cmq un espressione di un particolare momento storico e delle sue peculiari  connotazioni sotto il profilo sociale ed economico.
Per alcuni autori però gli sforzi per integrare le varie teorie risultano improduttivi e generano caos, mentre altri autori affermano che forse bisognerebbe smettere di creare paradigmi e passare invece alla ricerca empirica della verifica delle intuizioni.
I vari punti di vista si scontrano nell'analisi delle statistiche ufficiali, dove ci sono i positivisti (convinti della loro consistenza), gli istituzionalisti (che vi vedono solo il riflesso dell'azione delle istituzioni), i realisti (interessati al numero dei reati conosciuti ma non perseguiti).
I terreni di lavoro dei criminologi sono 3:

  1. soluzione dei problemi di coerenza o chiarezza presenti all'interno dei paradigmi
  2. problemi di carattere epistemologico inerenti alla disciplina in quanto tale o la validità delle categorie concettualizzate usate
  3. specifici contenuti tematici
Altri argomenti d'interesse sono: lo sviluppo di studi e ricerche, di norme e politiche sulla tossicodipendenza, di evoluzione del sistema penitenziario, di sperimentazione di forme innovative di sanzioni (la mediazione, la riparazione del danno, la riconciliazione con la vittima, i lavori socialmente utili, ecc...).


Gli sviluppi più recenti del dibattito teorico


Negli Usa si afferma la criminologia realista o amministrativa (in Inghilterra), che prende il nome di realismo di sinistra, i cui massimi esponenti sono Matthews e Young.
Questo movimento rifiuta le teorie sociologiche e sostiene che l'efficacia penale si ottiene non con l'inasprimento della pena, ma con l'incremento delle difficoltà frapposte alla commissione dei reati.
Questo movimento si impegna a riflettere sulla realtà della criminalità, sulle origini, la natura, l'impatto, rifiutando la tendenza a romanticizzare e patologicizzare la devianza.
I principi del realismo di sinistra sono:

  • la criminalità è un problema vero e reale, non solo una costruzione sociale
  • è necessaria una seria ed accurata vittimologia, che eviti di ignorare (interessandosi quindi non solo del criminale vittima del sistema) chi è oggetto di danno
  • ci si concentra sui rapporti tra vittima ed aggressore
  • i mass media non creano la paura del crimine, dato che esso è un problema reale, ma lo possono amplificare, distorcere, usare
  • si torna a studiare l'eziologia
  • la teoria deve esser capace di abbracciare l'intero ambito dell'atto criminale
  • si deve superare la convinzione di impossibilità di sconfitta del crimine
I realisti di sinistra si impegnano sul terreno della ridefinizione e del controllo democratico delle strategie di intervento della polizia, prolungano l'intervento minimo, e vogliono bilanciare il potere della giustizia penale per evitare abusi (il realismo è costituito da una strategia di democratizzazione).
Le critiche a questo modello riguardano una eccessiva semplificazione delle dinamiche causali, con l'enfasi esclusiva sui concetti di malcontento e di deprivazione relativa e l'assenza di una chiarificazione sui nessi intercorrenti tra queste condizioni e il crimine.
Secondo Matthews e Young, il realismo considera le precedenti teorie come parziali, perchè hanno focalizzato quindi solo l'attenzione su uno dei diversi nodi della questione: lo stato (labelling theory), il pubblico (teoria del controllo), il criminale (positivismo), la vittima (vittimologia), quindi il realismo si prefigge di sviluppare un'analisi coerente capace di collegare le diverse posizioni.

Alcuni sviluppi della criminologia critica
Baratta parla di 2 ordini di funzioni della costruzione sociale della criminalità: la funzione di management (offuscare, nella coscienza collettiva, altre situazioni rientranti nella stessa area di negatività sociale o di definire un certo ordine di importanza dei fenomeni) e la funzione di legittimazione (riproduzione dei rapporti sociali di inadeguatezza e riproduzione ideologica, che si realizza coalizzando i cittadini contro un avversario comune, il criminale, di cui si nascondono i tratti eventualmente vicini a quelli che presenta la maggioranza delle persone per esaltare la diversità, e a cui si attribuiscono le colpe di ciò che nella società non funziona).
Si cerca di capire quali situazioni sono costruite all'interno di un determinato contesto sociale come problemi sociali, o se esiste una realtà comportamentale o situazionale negativa alla quale la costruzione soggettiva della criminalità può corrispondere o non corrispondere.
Secondo Pires, il crimine è una realtà costruita, il crimine in quanto tale non esiste al di fuori di una pratica societaria che lo connota come criminale.
Secondo Pires bisogna capire quale criterio di scelta ha usato il legislatore per decidere cosa è reato e cosa non lo è, e questo autore avanza la proposta di un paradigma terzo, il paradigma delle interrelazioni sociali, capace di prendere in considerazione i rapporti esistenti tra 2 assi, l'asse in cui si collocano i comportamenti e le situazioni problema, e l'asse che indica l'esistenza di un processo di oggettivazione di una certa questione problematica come crimine.

Il contributo di Foucault
Foucault ha trattato i temi centrali della criminologia, come quello del rapporto tra potere e sapere criminologico o quello della natura e delle funzioni delle istituzioni di controllo.
Questo autore si interessa all'analisi dei processi attuali per limitare, dirigere e controllare la formazione e la proliferazione dei discorsi che si accompagnano alle dinamiche materiali di esclusione, si interessa anche agli effetti della verità contenuti in un dato discorso, ossia degli effetti da esso provocati in quanto accolto come vero (effetti non oggettivi ma costruiti all'interno di determinate coordinate fissate dalla struttura di potere).
C'è la convinzione che le scienze dell'uomo non siano separabili da quei rapporti di potere che le rendono possibili, inoltre, la ricerca contribuisce a costruire il comportamento in oggetto come problema sociale, cui provvede a controllare.
Foucault suggerisce l'analisi del potere, ovvero studiare come i meccanismi di potere sono investiti, usati, estesi, da meccanismi sempre più generali e da forme di dominazione globale, egli afferma che il potere è onnicomprensivo (si estende ed avvolge ogni tipo di relazione sociale) ma anche onnidirezionale (la risultante di un rapporto di potere non è mai del tutto determinata e prevista dal vincitore della lotta).
Foucault critica la prigione e i suoi metodi, la considera una fabbrica di criminali, dove l'individuo apprende la criminalità, dove si formano gruppi organizzati, dove la famiglia del recluso rischia di diventare criminale a causa del fatto che non essendoci lui nessuno lavora, e quindi si chiede a cosa serva la prigione, e si risponde dicendo che i castighi non servono a fermare i criminali, che il fallimento della prigione serve a creare la distinzione, ad emarginare e a creare il criminale, trasformandolo da occasionale ad abituale, a gestire gli illegalismi, proibendo alcuni atti e permettendone altri.
Quindi lo scopo della prigione sarebbe quello di produrre i delinquenti in un ambiente apparentemente marginalizzato, ma controllato dal centro (e la stampa ha lo stesso effetto/scopo).

Il costruzionismo complesso
De Leo e Patrizi si propongono l'obiettivo di elaborare una teoria capace di ricostruire come il crimine viene attuato, definito e controllato.
L'analisi è focalizzata su 2 livelli e sulle loro interazioni: il sistema di azioni trasgressive e il sistema di azioni di controllo, con l'obiettivo di cogliere come si definiscono al loro interno, come contribuiscono a definirsi reciprocamente, e soprattutto quali significati comunicano e quali funzioni svolgono.
Viene posta al centro dell'attenzione l'azione umana, cercando di ricostruire i significati e le regole che hanno guidato l'attore e i processi che l'hanno resa possibile (azione come strumento di conoscenza).
Questi autori sostengono che ogni azione deviante contiene anticipazioni degli effetti di controllo, per definire ed orientare strategie per evitarlo, inoltre l'attenzione deve spostarsi sul processo che organizza e compone le rappresentazioni sociali sul crimine, gli attori istituzionali che gestiscono la giustizia, il controllo informale, e quindi anche gli interventi e le azioni di questi attori.
L'azione criminale e l'azione di controllo esprimono sia una capacità di autodefinirsi e di autoprodursi, rappresentano l'uno per l'altro l'ambiente di riferimento più diretto e rilevante, ovvero concorrono reciprocamente a definire i confini e funzioni dell'altro sistema.
Per comprendere bene il crimine è necessario studiare entrambi gli organizzatori: quello dell'azione criminale risponde all'esigenza di spiegare come si rende possibile e si attualizza l'azione criminale da parte di soggetti individuali, gruppali o collettivi, mentre quello dell'azione di controllo cerca di comprendere come si rende possibile e si attualizza il crimine come problema sociale, nelle azioni selettive e comunicative delle agenzie formali ed informali di controllo.


Dalla critica al concetto di devianza all'attenzione per la devianza


Il concetto di devianza è sembrato per un buon periodo un buon contenitore per designare un insieme eterogeneo di comportamenti e fenomeni uniti dalla combinazione di 2 caratteristiche: l'essere statisticamente non normali e l'essere socialmente riprovati in quanto non conformi.
La devianza assume il suo significato come scostamento da valori condivisi e si ricollega ad una rappresentazione del sociale-globale come equilibrio ed integrazione tra le parti.
Tuttavia è stata messa in discussione la naturalità ed oggettività dei confini tra normale e patologico, tra conforme e non conforme, tra lecito e non lecito.
Secondo Vincenzo Tomeo, sarebbe meglio evitare l'uso del termine devianza, accentuando l'uso di espressioni che facciano riferimento ai conflitti e alla diversità, guardando alle situazioni concrete degli interessi in campo e delle definizioni delle situazioni date dai diversi osservatori e protagonisti.
La critica al concetto di devianza viene ripresa anche da altri autori ed in generale:

  • il sistema normativo non presenta più le condizioni per operare efficacemente, per controllare la stabilità dei rapporti sociali, per reagire con un certo grado di coerenza ai fatti definiti come devianti
  • sono sempre più diffusi modelli di comportamento estranei a riferimenti di valore, a quei valori che si presumono condivisi dalla maggioranza e che stanno alla base delle definizioni normative di devianza e conformità
  • i mutamenti nella struttura sociale delle classi, la diffusione al di là delle collocazioni sociali e dei ruoli, dei differenti modelli culturali rende obsoleta una visione del controllo sociale (produttore di devianza secondaria) orientato in maniera unidirezionale nei confronti di aree sociali specifiche e marginali.
Quindi non ha senso una definizione di devianza come oggettivazione stabile del sentire collettivo, né come contenuto determinabile a priori, essa è piuttosto il prodotto momentaneo di un episodico interrelarsi di fattori e circostanze, che concorrono a definire lo spazio in cui esso può essere occasionalmente raffigurato.

Questione criminale e questione devianza
Alla sociologia continua a competere la ricerca sul modo in cui ha origine il giudizio di non conformità applicato ai diversi comportamenti.
Tuttavia la riunificazione di situazioni tra loro molto diverse sotto etichette unitarie (anormalità o devianza o problemi sociali) crea problemi di comprensione e di conseguenza vuoti di progettualità e di intervento (perchè ad esempio la criminalità è una cosa diversa dalla malattia mentale).
Bisogna superare la separatezza tra interesse per gli aspetti di materialità percepiti come problematici, e quello per i sistemi di definizione che li oggettivano come criminali.
Parlare di questione devianza significa cogliere l'esistenza di una pluralità di situazioni concrete che hanno rilevanza problematica sia sotto il profilo della modalità e della qualità delle relazioni che si instaurano tra i protagonisti e chi interagisce con loro, sia sotto il profilo dei discorsi che intorno ad esse si costruiscono.
La questione devianza consente di riconoscere l'esistenza reale di atti singoli e di complessi di attività e di relazioni che hanno conseguenze problematiche o cmq sono percepite come negative per la vita, e al tempo stesso consente di interrogarsi su come, perchè e che conseguenze abbia affrontare questi atti o complessi di attività come devianti.
In generale, la connessione tra strategie operative adottate nell'ambito dei servizi e i modelli interpretativi con cui si leggono i fenomeni è strettissima.

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