sabato 12 marzo 2016

Psicologia dello sviluppo (5/12): Dal controllo dell'altro al controllo del sè

I bambini devono imparare ad assumersi le responsabilità del proprio comportamento, dato che il mancato sviluppo di questa capacità può dare origine a esseri impulsivi, egocentrici e poco sociali.
All'inizio cmq, i bambini dipendono dagli altri, e solo con lo sviluppo possono diventare man mano sempre più autonomi.
Secondo Kopp (1982), ci sono diverse fasi di autoregolazione: nella prima fase, 2 o 3 anni di vita, i genitori devono tutelarli dagli stress eccessivi, nella seconda fase, tra i 3 e i 9 mesi, i bambini devono imparare come adattare il proprio comportamento alle circostanze (controllo detto modulazione inconscio), dai 12 ai 18 mesi c'è il controllo volontario, verso i 2 anni i bambini imparano a rispettare le istruzioni in modo autonomo, e dai 3 anni tutti questi processi diventono stabili.

Fasi Età in mesi Caratteristiche
Modulazione neurofisiologica 0-2/3 Modulazione dell'attivazione
Modulazione sensomotoria 3-9+ Modifica comportamento per risposta all'ambiente
Controllo 12-18+ Comportamento intenzionale, consapevolezza d'azione
Autocontrollo 24+ Pensiero rappresentativo e memoria rievocativa, comportamento coerente con le aspettative sociali anche in assenza dell'adulto
Autoregolazione 36+ Creazione di strategie, introspezione, maggiore controllo


Tecniche di controllo ed obbedienza


Lo sviluppo di una coscienza morale è un periodo lungo, ed inizialmente i bambini si conformano alle richieste sociali solo perchè i genitori fanno pressione su di loro.


L'obbedienza è un requisito necessario per una buona interazione tra bambino e genitore, e la disobbedienza precoce può essere l'inizio di una serie di disturbi, come scarsa relazione coi coetanei e problemi di condotta futuri.
E' stato dimostrato che la disobbedienza nei primi periodi di vita è cmq molto alta, nei bambini dai 10-11 anni è intorno al 50%.
In alcuni casi la disobbedienza non è un male, ma è un'espressione di autonomia, mentre in caso di un alto livello di disobbedienza, si ha di solito un cattivo adattamento.

 
Strategie di disobbedienza dei bambini:
Strategia Descrizione
Disobbedienza passiva ignora gli ordini
Rifiuto semplice rifiuto verbale diretto
Sfida diretta opposizione con rabbia
Scuse spiega il perchè della disobbedienza
Contratta tentativo di cambiare o limitare gli ordini
Negozia contratta e cerca scuse

Il ruolo degli educatori
Le tecniche di controllo sono usate per modificare il comportamento immediato dei bambini, anche se frequentemente usate, possono avere un effetto duraturo.
Il controllo risulta più efficace se accompagnato dalle seguenti condizioni:
  1. i genitori permettono al bambino un certo grado di controllo dell'interazione
  2. seguono gli interessi del bambino e le sue azioni come guida per richieste e direttive
  3. tutto ha luogo su uno sfondo di una relazione affettuosa
Inoltre, i suggerimenti sono più efficaci dei comandi diretti, inoltre i controlli negativi (minacce) sono associati con atteggiamenti di sfida e le strategie persuasive sono più efficaci rispetto a metodi statici e fissi.
E' bene dare l'impressione al bambino di avere un certo potere di scelta, e fargli sempre capire il perchè dei vari ordini, e se bisogna far interagire il bambino con un oggetto, bisogna che la sua attenzione sia indirizzata ad esso, e la madre deve cercare di condividere sempre gli argomenti col piccolo.
Le richieste variano a seconda dell'età, da piccoli si usano quelle non verbali, e anche quando si usa la parola, se il bambino non è ancora in grado di capirla, questa di solito è associata al gesto, o accompagna l'azione, in modo che serva anche per l'apprendimento.
Durante i primi anni, l'obbedienza viene di solito cercata in questioni di routine domestica, e durante lo sviluppo cambia il contenuto delle regole materne, sempre spiegate in modo da far capire cosa è giusto e cosa è sbagliato.
I bambini non udenti di solito sono trattati diversamente dai genitori, che li coinvolgono meno e tendono a imporgli le regole e basta, e ciò può creare un circolo vizioso, mentre invece dovrebbero cmq cercare di coinvolgerli, ad esempio attirando la loro attenzione con i gesti.


L'apprendimento delle regole sociali


Già dal secondo anno di vita è evidente che i bambini cercano di dare un senso alle richieste che gli vengono fatte, e non si limitano ad obbedire e basta.
Già dai 3 anni, i bambini imparano che non si deve fare male agli altri, anche se non ne sanno ancora il motivo.


Standard di riferimento
Già dal secondo anno i bambini imparano a conoscere i modelli normativi, diventando coscienti di loro stessi, degli altri e degli oggetti, e se ad esempio un oggetto è rotto o sporco, si preoccupano.
Sempre verso il secondo anno, i bambini iniziano a prendere coscienza degli standard, della loro possibile violazione e degli insuccessi nel rispondere alle aspettative dell'adulto, e grazie al linguaggio appreso, i bambini possono mostrare i loro dubbi e le loro preoccupazioni a riguardo.
Capire gli standard vuol dire saper analizzare come è una cosa e come dovrebbe essere, è quindi una capacità cognitiva, che consente anche ai piccoli di crearsi i propri standard.

Routine familiari e apprendimento
Le regole non sono principi astratti, ma sono legate ad usi familiari specifici e la vita familiare è un fatto emozionale.
E' stato dimostrato che si ha più probabilità di ricordare un'esperienza se avviene in un contesto di emozioni.
Le dispute che si creano dalle richieste di spiegazione dei bambini, aiutano a formare regole chiare ed esplicite, e i bambini sono obbligati a imparare la necessità di giustificare il loro comportamento con delle regole.
I bambini devono apprendere le regole per poter negoziare, e devono anche essere in grado di assumersi la responsabilità della trasgressione.
Le regole quindi vengono apprese in maniera attiva, e più grande è il numero di riferimenti alle regole sociali prodotto dalle madri, maggiore è la probabilità che il bambino mostri un comportamento maturo nelle situazioni interpersonali.
Il contesto domestico è efficace per l'inculcamento delle regole, e secondo Tizard e Hughes esistono 5 fattori responsabili di questo:
  1. la casa è sede di molte attività e quindi c'è molto da discutere
  2. in casa adulto e bambino condividono un passato ed un presente comune
  3. nelle famiglie i bambini han più attenzione rispetto all'asilo perchè sono pochi
  4. l'apprendimento a casa è influenzato dal contesto che evoca molti ricordi familiari
  5. a casa la relazione insegnante-allievo è molto più emotiva
Il contributo dei fratelli
Avere fratelli aiuta ad apprendere, soprattutto se questi è un po' più grande, perchè a differenza che con i genitori, il dialogo è quasi sempre incentrato su cose buffe, inoltre il fratello parla dei propri sentimenti, a differenza dei genitori che parlano dei sentimenti del piccolo, e questo aiuta a far conoscere anche gli altri.
Grazie a giochi con il fratello, il bambino può apprendere nuove regole e svilupparle insieme ad esso, e più l'età dei fratelli è vicina e più ci sarà imparzialità nella costruzione delle regole.
Tra fratelli c'è complementarità e reciprocità, il fratello più grande può agire da insegnate e crescere allo stesso tempo insieme al fratellino.
Nelle famiglie con un fratello con qualche handicap (fisico o mentale), il bambino normale, anche se più piccolo, prende l'iniziativa su tutto e questo lo aiuta a maturare prima, anche grazie al fatto che tra i 2 fratelli non c'è competività.

Convenzioni sociali e moralità
Le regole convenzionali sono specifiche delle varie culture, delle varie famiglie, mentre la moralità è ciò che è giusto o sbagliato a priori.
Le convenzioni sono insegnate in modo dogmatico, mentre i principi morali vengono acquisiti perchè i bambini percepiscono che certe azioni sono dannose per gli altri.
Nucci e Nucci (1982) han fatto esperimenti con bambini dai 6 ai 13 anni, mostrando le varie reazioni a episodi di trasgressione, dimostrando che i bambini sanno cosa è giusto o sbagliato anche in assenza di una convenzione, mentre nel caso delle convenzioni è stato mostrato che sono anche disponibili a cambiarle se si prende una decisione di gruppo (mentre il principio morale è visto come una cosa più grave da infrangere).
Queste distinzioni sono evidenti intorno ai 3 anni.



Comportamento prosociale e antisociale


Con Il termine prosociale si intende l'insieme degli aspetti dell'aiutare, del prendersi cura, del condividere, del cooperare e del provare solidarietà, i cui segni appaiono dal secondo anno di vita.

L'empatia implica la condivisione delle emozioni degli altri, è una risposta affettiva adeguata alla situazione che vive l'altra persona.
Empatia ed altruismo sono spesso correlate, ma l'una non necessità per forza dell'altra.

Secondo  Hoffman (1987), esistono 4 fasi di sviluppo dell'empatia:

Fase Empatia Età  d'inizio Caratteristiche
1 Empatia globale primo anno gli altri non sono percepiti come persone distinte, quindi i bambini percepiscono ciò che accade agli altri come se accadesse a loro
2 Empatia egocentrica secondo anno gli altri sono percepiti come altre persone, ma gli stati emotivi sono ancora considerati come parte di sè
3 Empatia per i sentimenti dell'altro a circa 2 o 3 anni piena consapevolezza degli altri
4 Empatia per le condizioni di vita dell'altro tarda infanzia percezione dell'esperienza generale della vita degli altri, quindi l'empatia si crea non solo pensando alla situazione presente

In linea di massima, le tendenze prosociali del bambino si manifestano soprattutto difronte alla sofferenza di un'altra persona, già dal secondo anno l'empatia diventa occasione di confronto, di comunicazione verbale, di consiglio e aiuto.
Il comportamento prosociale aumenta verso il secondo anno, ma non durante la tarda infanzia, c'è un declino tra i 3 e i 6 anni, come dimostrato da diversi studi all'asilo, alcuni bambini percepiscono l'angoscia degli altri, ne sono turbati, ma raramente aiutano.

Differenze individuali nel comportamento di socializzazione
L'empatia e l'altruismo, nei primi 2 o 3 anni di vita sono molto influenzabili dall'ambiente, ma anche dal corredo genetico, come dimostrato da studi su gemelli adulti, che son vissuti nello stesso ambiente e hanno livelli di empatia e altruismo simili.
Il valore di altruismo varia in base all'influenza dei genitori e della cultura in cui si vive.
Il numero dei compiti assegnati ai bambini, le responsabilità lavorative della madre fuori casa e le dimensioni della famiglia, son tutti aspetti che influenzano i comportamenti prosociali.
Alcuni comportamenti dei genitori sono associati allo sviluppo prosociale:
  1. comunicazione di principi e regole chiare
  2. l'enfasi emotiva dei genitori (non devono essere freddi quando spiegano)
  3. attribuzione di qualità prosociali al bambino (verbalmente gli si dice che sono servizievoli o bravi, e loro ci si rispecchiano)
  4. gli esempi del genitore
  5. la cura empatica del bambino (genitori che si comportano amorevolmente)
Non esiste una formula specifica per indurre all'altruismo, dipende dal bambino (geneticamente) e da un insieme di fattori, e il risultato è cmq dovuto al ruolo del bambino nel partecipare al comportamento prosociale (più fa l'altruista e più diventa altruista).
I bambini vittime di abusi difficilmente si preoccuperanno degli altri, mostrano inoltre diversi disturbi nel comportamento sociale, maggior aggressività, finendo per assomigliare a chi ha abusato di loro.

Aggressività
L'aggressività è ogni comportamento progettato al fine di arrecare danno agli altri.
L'aggressività viene vista in maniera differente a seconda delle società, in alcune è addirittura incentivata.
Blurton Jones ha dimostrato che esistono differenze tra l'aggressività dei bambini e uno stile turbolento nel gioco, nel primo caso si vedono visi corrucciati, ci sono colpi e spinte, nel secondo la faccia è sorridente, ci sono corse e gesti di lotta.
Queste 2 modalità tendono a manifestarsi in contesti differenti, l'aggressività ad esempio, avviene soprattutto in dispute per i giocattoli.
Esiste una distinzione di aggressività:
  1. Aggressività ostile: dove lo scopo è infliggere danni
  2. Aggressività strumentale: dove l'aggressività è solo un mezzo per raggiungere i propri scopi
L'aggressività si modifica in 4 modi:
  1. Quantità: diminuisce con l'aumentare dell'età
  2. Tipo: col crescere diventa più frequente quella verbale e diminuisce quella strumentale
  3. Cause di comparsa: con la crescita cambiano i motivi delle dispute, diminuendo le liti per motivi futili, e può nascere l'aggressività di gruppo
  4. Cognizione: crescendo il comportamento aggressivo può diventare più sofisticato e sottile.
Il bambino aggressivo in età prescolare probabilmente diveterà un adulto aggressivo, e c'è una sostanziale stabilità negli anni dell'aggressività.
Secondo Eron durante l'infanzia possono essere appresi alcuni modelli d'aggressività che possono essere conservati anche in età adulta, e quindi bisogna intervenire per prevenirli.
Chi è aggressivo percepisce anche gli stimoli in modo diverso, vedendo qualcuno buttare a terra un giocattolo può percepire l'azione come un atto di violenza (a differenza di chi non è aggressivo che può percepirlo come un gioco), e provare rancore, quindi c'è un circolo vizioso dove si alimenta l'aggressività.

Dodge ha elaborato un modello di elaborazione delle informazioni:
Segnale sociale/Obiettivi/Memoria -> codifica -> interpretazione -> ricerca di risposta -> decisione sulla risposta -> messa in atto

Studi hanno dimostrato che 1 bambino su 5 è vittima di prepotenze, mentre 1 su 10 le commette.
Le prepotenze, soprattutto a scuola, vengono effettuate su una vittima, da una persona o spesso, da un gruppo di persone, dove solo uno di solito è la reale persona aggressiva, gli altri hanno ruoli passivi.
La prepotenza può essere diretta o indiretta, tramite attacchi fisici o voci malevole (questa seconda è preferita dalle ragazze).
I prepotenti han di solito poche doti d'empatia, sono antisociali e poco rispettosi delle regole, e da adulti possono eccedere con le droghe e diventare criminali.
La vittima invece solitamente soffre di carenza di capacità di affermazione, non sanno persuadere gli altri, sono passivi, ansiosi, insicuri e hanno scarsa autostima.
Esistono anche le vittime provocatorie che sono in realtà persone aggressive, iperattive e poco concentrate, che di solito vengono trovate irritabili dagli altri e vengono usate come capri espiatori.
Le strategie per ridurre questi fenomeni nelle scuole sono attivate a livello di scuola, di classe, di professori, di genitori, di alunni nel complesso, di vittime e di aggressori, e di solito hanno un buon risultato (50% riduzione del fenomeno).

Determinazioni biologiche e sociali del comportamento aggressivo
Sono state elaborate diverse teorie per dare una risposta sulle origini dell'aggressività:
  • La teoria dell'istinto di Freud (1930): l'aggressività deriva da una tendenza innata a distruggere, è un istinto di morte diretta all'esterno che funziona come un modello idraulico che si accumula fino a raggiungere il culmine e si scarica.
    Secondo Freud basta usare queste energie in comportamenti socialmente accettabili scaricanti (come lo sport) per poter evitare l'aggressività, ma questa sua teoria è stata smentita successivamente da diversi studi.
  • La teoria etologica di Lorenz (1966): prendendo spunto dalle teorie evoluzionistiche, Lorenz afferma che gli esseri umani son dotati di un impulso che li spinge a lottare contro gli altri, e che questa è una base biologica innata alla quale non si può sfuggire.
  • L'ipotesi dell'aggressività-frustrazione di Dollard (1939): considera l'aggressività come la conseguenza della frustrazione, dovuta al fatto che tutti abbiamo degli obiettivi e che quando non li raggiungiamo proviamo frustazione che sfocia in rabbia, e i bambini apprendono che l'episodio di rabbia allevia la frustazione, così tendono a ripetere i comportamenti aggressivi.
  • La teoria dell'apprendimento sociale di Bandura (1973): l'aggressività viene acquisita per apprendimento e osservazione, l'osservazione può portare all'imitazione, mentre l'apprendimento insegna che se un comportamento violento serve ad ottenere qualcosa, questo viene ripetuto.
Sicuramente anche i fattori biologici giocano un ruolo fondamentale nelle differenze di aggressività tra individui, ad esempio se gli stessi genitori sono geneticamente predisposti ad un certo comportamento (o anche semplicemente se sono stati educati in un certo modo), tenderanno a trasmetterlo ai figli.
Inoltre, i bambini tendono a plasmare il proprio ambiente, quindi i bambini aggressivi tendono ad associarsi con altri bambini aggressivi.
Irritabilità, elevata attività, irregolarità e distraibilità sono tutti precursori dell'aggressività.

La differenza di aggressività tra maschi e femmine è spesso al centro di studi, e non ci sono prove certe che le femmine siano davvero meno aggressive geneticamente (cmq lo sono più verbalmente).

Certe caratteristiche dei genitori sono associate con alti livelli di aggressività nei bambini:
  • Rifiuto da parte dei genitori: i genitori che non curano molto i figli non agevolano la formazione dell'autocontrollo
  • Permissività dei genitori: i genitori troppo permissivi non riescono a frenare l'aggressività dei bambini che continuerà a svilupparsi
  • Esempio dei genitori: i bambini aggressivi sono spesso figli di genitori aggressivi
  • Punitività dei genitori: quando la punizione fisica è frequente ed incoerente, aumenta l'aggressività, i bambini non aggressivi rimangono tali dopo la punizione, ma gli aggressivi lo diventano di più, e anzi, possono imparare che con la violenza si ottengono le cose
  • Rinforzo dell'aggressività da parte dei genitori: alcuni genitori incentivano l'aggressività dei figli
Ovviamente, tutto ciò può anche avvenire in maniera inversa e i bambini aggressivi possono far diventare aggressivi i genitori geneticamente predisposti, che contribuiranno a far sviluppare l'aggressività dei piccoli.
Un altro caso di nascita di aggressività si ha quando il bambino ha pochi stimoli e cerca di attirare l'attenzione con quel tipo di comportamento, e se ci riuscirà tenderà ad usare l'aggressività ancora.
Lo stile di vita aggressivo instaurato porterà modificazioni anche nello sviluppo sociale, venendo ripudiato da bambini non aggressivi, si sceglierà compagni aggressivi, e ci sarà un circolo vizioso che magari lo porterà a diventare un delinquente.

La violenza in televisione e nei videogiochi è stata molto studiata per capire se potesse essere dannosa per i bambini.
E' stato solo riscontrato che la violenza vista o giocata genera sentimenti violenti immediati, ma non esistono prove di reazioni a lungo termine.
Anche in questo caso, chi è predisposto all'aggressività si scegli programmi violenti.
I videogiochi sono potenzialmente più pericolosi perchè i bambini compiono virtualmente le azioni violente.

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