lunedì 20 giugno 2016

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Tecniche del colloquio (10/16): Il processo diagnostico

Il processo diagnostico si è evoluto col passare del tempo, ad esempio le indicazioni da fornire in relazione a particolari caratteristiche di uno specifico paziente sono diventate un passaggio secondario rispetto al fatto sempre più evidente che la consultazione diagnostica, opportunamente condotta, può funzionare e ha una sua utilità.
Col passare del tempo è diventato importante, tramite la processualità del lavoro diagnostico, comprendere meglio (dal vivo) il funzionamento del paziente.
Spesso bisogna non considerare sufficiente la categoria nosografica d'appartenenza, bisogna avere prudenza nel trattamento, dato che ci possono essere importanti differenze in casi apparentemente simili.
Quindi, la prima alleanza diagnostica da prendere in considerazione è quella del clinico con il metodo clinico.

La definizione nosografica può avere un effetto importante sul paziente, può creare alleanza e comprensione sapere il nome della propria patologia, può far ridurre le paure il sapere di non essere affetti da un male sconosciuto.
Purtroppo però le etichette sono spesso un problema, le persone etichettate tendono a sbandierarlo, ad usarlo come giustificazione, e cartelle cliniche con diagnosi molto severe possono togliere la speranza al paziente.

La diagnosi funzionale è importante, in alcuni casi è determinante ed indicativa la modalità con cui il paziente affronta la propria difficoltà all'inizio della consultazione, ed è quindi importante esaminare il criterio usato dal paziente.
Questa diagnosi può essere propria del paziente o derivata da precedenti operatori, e può anche capitare che in presenza del clinico questa si modifichi, per poi tornare come all'inizio sotto l'influenza di altre persone.

La diagnosi alloplastica si ha quando il paziente esprime (descrivendo il suo malessere come causato dagli altri) quanto la sua esistenza sia influenzata da persone che la determinano, e se il clinico non conferma questa diagnosi può capitare che la paranoia del paziente aumenti, facendogli credere che anche il clinico lo consideri un colpevole.
Quindi, quando si deve dire il proprio punto di vista al paziente non si può non considerare come questi maneggi la realtà, le relazioni e le sue emozioni, e quindi spesso non bisogna insistere nell'imporre il proprio punto di vista al paziente, ma bisogna trovare il modo di mostrargli anche altri punti di vista.
La traduzione della diagnosi in esplicazione del funzionamento del paziente ha la finalità di fornire al paziente strumenti di comprensione che gli permettono una possibile riorganizzazione della percezione di sè.
Il processo diagnostico si conclude con la restituzione e solo successivamente con un'eventuale indicazione, ed esso, se fatto bene, è in grado di ridurre il numero di trattamenti a termine (ovvero il trattamento può essere meno lungo se c'è una buona diagnosi inziale).


Il processo diagnostico


E' quanto accade nella situazione diagnostica e in un contesto di sufficiente alleanza, in un ordine di tempo definito e sufficiente, procedendo per acquisizioni successive degli elementi significativi dell'organizzazione del paziente.
A volte capita che lo stesso paziente fornisca la sua restituzione prima della nostra.


La situazione diagnostica è caratterizzata dal fatto di essere una sorta di stato di tregua, che avviene in un clima emotivo dove ogni giudizio è sospeso (sia da parte del clinico che del paziente), e sono anche sospese le decisioni riguardo qualunque tipo di intervento.
Bisogna anche essere capaci di avvalersi della storia e delle vicissitudini di eventuali interventi diagnostici/terapeutici precedenti.

Occorre anche distinguere una sana alleanza terapeutica da una situazione patogena dove il paziente è completamente assoggettato dal clinico e prende qualsiasi frase come un ordine.
L'alleanza diagnostica è una componente indispensabile per lo svolgersi del processo diagnostico, ed è clinicamente diversa dall'alleanza terapeutica, anche se in alcuni casi può esserne precursore.

Gli ostacoli all'alleanza diagnostica possono nascere in quei pazienti che vogliono subito delle risposte, e in questo caso bisogna capire se si tratta di reali problemi da risolvere subito o semplice impazienza.
Un altro impedimento alla diagnosi è la paura del paziente verso il suo stato ed il suo destino, egli può infatti avere paura di far emergere paure nascoste, e quindi che queste si consolidino e diventino realtà, e in generale, il paziente di solito è poco disposto ad accettare diagnosi in contrasto con i propri vissuti (quindi mentire per tranquillizzarlo non sempre è utile).
Ci può infine essere reticenza per vergogna o per attività criminale.

Il processo diagnostico che si è avviato con la prima consultazione procede per approssimazione ed ipotesi successive verso l'acquisizione di elementi significativi relativi ai vari livelli della complessità organizzata del paziente (somatico, intrapsichico, interpersonale, micro/macrosociale, culturale, di base), e questo iter consiste in una processualità emotivo-cognitiva, che corrisponde ad una progressiva precisazione, selezione ed integrazione degli elementi raccolti.
All'interno del processo diagnostico si distinguono i vari setting, ovvero le cornici operative in cui la situazione diagnostica si declina (setting dei primi colloqui clinici, setting della raccolta della storia, setting della somministrazione dei test, setting di eventuali sedute di osservazione), ed in alcuni casi questo iter diagnostico può venire ridotto.

Quando c'è collaborazione tra clinici diversi, se ci sono discrepanze di vedute, ciò non costituisce sempre una situazione problematica, ma può essere vista come uno specifico e nuovo materiale clinico da analizzare.
Le discrepanze possono evidenziare modalità di funzionamento diverse del paziente in condizioni diverse, e quindi vanno analizzate.
Possono sorgere problemi quando i clinici sono troppo rigidi e legati al proprio riferimento teorico, inoltre usare più operatori su un paziente può creare disorientamento (sempre meglio che sia una persona sola a condurre i colloqui).

Il processo di sintesi precede la restituzione al paziente, ed in tale processo è necessario tener conto di diversi fattori:
  • il quadro generale del funzionamento del paziente, in modo da avvalersi delle sue capacità di comprensione e delle esperienze precedenti
  • il motivo per cui il paziente richiede la consultazione, ed in caso di crisi, il motivo di essa
  • l'effetto che la psicopatologia del paziente fa sulle persone con cui entra in contatto
I fattori che possono ostacolare la sintesi sono:
  • il tentativo di far quadrare tutti gli elementi in un insieme logico, al posto di analizzare le varie discrepanze
  • la necessità di fare una restituzione affrettata
  • la tendenza a procrastinare comprensione e decisione, delegando tutto ciò ad un ideale terapeutico e senza tener conto delle caratteristiche strutturali del paziente
  • la difficoltà ad abbandonare uno schema teorico, quando questo risulta non adatto
La sintesi è quindi un momento decisivo del processo diagnostico, che richiede capacità di scelta ed organizzazione dei dati raccolti, e la capacità di riconoscere anche ciò che ancora non è chiaro (e che andrà quindi scoperto successivamente).
La sintesi può quindi concludersi con delle certezze, delle certezze parziali, delle ipotesi o dei dubbi.

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Tecniche del colloquio (9/16): Chi si rivolge al clinico

Bisogna innanzitutto distinguere tra utente, colui che usufruisce di un servizio pubblico, e cliente, colui che abitualmente si avvale delle prestazioni di qualcuno.
Chi si rivolge al clinico lo fa perchè prova disagio, ma non sempre questa percezione è corretta, spesso è distorta, e il primo compito del clinico è quello di valutare se la persona si sta rivolgendo al tecnico giusto.

Se le variabili intrapsichiche e interpersonali sono secondarie rispetto a elementi oggettivi di realtà, è molto probabile che sia necessario prima il parere di un tecnico diverso dallo psicologo, viceversa, l'intervento dello psicologo clinico può essere prioritario.
La richiesta di parere da parte del paziente è sempre esito di un processo decisionale, dove, grado di preoccupazione, causa della preoccupazione e percezione di malessere sono variabili soggettive correlate con l'organizzazione della personalità del soggetto.

Uno stesso disturbo può avere significati diversi, bisogna valutare dunque se è un problema evolutivo, un disagio momentaneo o una malattia (tramite il ragionamento diagnostico).
Quando si hanno poche informazioni, per creare ordine e coerenza si usano i modelli.
Un modello può spiegare un insieme di fatti o punti di vista e quindi aumentare la comprensione.
Il clinico deve dunque individuare il modello o i modelli più idonei per la comprensione del fenomeno osservato.
Secondo Engel, un modello non è altro che un sistema di credenze, e cmq di solito, la scelta del modello viene fatta a priori e mantenuta, diventando una scelta ideologica.
La tendenza a mantenere un modello teorico nonostante i dati non ne confermino sempre la bontà può essere dovuta a: l'influenza dei colleghi, la lettura dei soli articoli che confermano il modello prescelto, l'esperienza clinica che viene usata per confermare le proprie credenze.
E' invece importante che la scelta del modello sia determinata non dalla scuola di appartenenza, ma da convincimenti scientifici e dall'evidenza clinica, perchè la scelta del modello determina la definizione del disturbo psichico ed i criteri in base ai quali un sintomo è attribuito ad uno stato morboso e la relazione con la persona affetta.
L'uso del modello può essere un supporto ma anche un ostacolo per la raccolta dei dati, dato che a seconda del modello vengono usati metodi diversi d'indagine, non sempre adatti alle situazioni che si presentano, quindi l'utilizzazione acritica di un modello può essere fonte d'errore.

I modelli di disturbo psichico sono:
  • organogenetico (medico, biologico): il disturbo psichico è descritto ed analizzato secondo il modello meccanico di malattia, dove il sintomo patologico è una struttura, una funzione, un comportamento che subisce un'alterazione a causa di anomalie fisiologiche o biochimiche a livello di sistema nervoso centrale.
  • sociogenetico: disturbo psichico descritto ed analizzato come reazione sana ad una società malata, dove alcuni comportamenti devianti sono conseguenza dell'ambiente sociale.
  • psicogenetico psicoanalitico: disturbo descritto ed analizzato come esito di un conflitto intrapsichico che va interpretato.
  • psicogenetico comportamentistico: disturbo descritto ed analizzato come comportamento inadeguato, risultato di un processo d'apprendimento.
  • psicogenetico cognitivo: disturbo descritto ed analizzato come la conseguenza dell'attivazione di un sistema di codificazione più primitivo che modifica la processazione delle informazioni (bias sistematico).
  • psicogenetico sistemico: disturbo descritto ed analizzato come un deficit dei processi transazionali di adattamento, dove i sintomi sono gli effetti pragmatici della comunicazione umana.
  • bio-psico-sociale: disturbo descritto ed analizzato attribuendo importanza uguale a fattori biologici, psicologici e sociali.
I modelli sono utili solo se descrivono fedelmente i fatti e forniscono basi coerenti per l'intervento, sono dunque strumenti pratici piuttosto che astrazioni teoriche.
L'uso corretto dei modelli è possibile se il clinico: conosce le indicazioni e le controindicazioni, ha buone capacità di diagnostica ed osservazione, sa instaurare un'alleanza diagnostica con il paziente, prende le decisioni in tempo utile, sa comunicare e motivare la decisione presa.


Il problema del paziente


La sensazione o il cambiamento rilevato (indizio) assumono un significato specifico (sintomo) solo se inseriti in un quadro di riferimento specifico (la malattia, della quale non esiste ancora una definizione soddisfacente).
Il paziente percepisce la malattia come la perdita della precedente condizione di salute, ed ad essa attribuisce valori e paure in base alla propria personalità, ma anche e soprattutto in base al contesto in cui vive (società, mass media).
La persona si considera infine malata, quando la propria sensazione di non star bene viene confermata dal medico.
Secondo Goffman, lo stigma è un attributo altamente disturbante a livello sociale, e secondo Jones, prima c'è una deviazione dalla norma e successivamente questa deviazione viene affetta da attributi indesiderabili agli occhi degli altri.
Il disturbo psichico implica una situazione di sofferenza personale che deteriora le relazioni interpersonali ed il benessere del singolo individuo.
Inoltre, le credenze e gli stereotipi riducono la capacità di diagnosticare il proprio malessere e di chiedere aiuto.



Riconoscere la sofferenza


A parità di sintomatologia, alcune persone si sentono malate e chiedono aiuto, altre no.
Le condizioni che incidono sulla capacità di rilevare la propria sofferenza sono:

  • il valore soggettivo attribuito al sintomo
  • la maggiore o minore capacità di coping (gli sforzi cognitivi e comportamentali finalizzati alla gestione di specifiche richieste interne/esterne percepite dal soggetto come eccessivamente gravose e superiori alla sue risorse personali).
  • la volontà di negare la malattia
  • la personalità del soggetto, la sua cultura, la sua società, i suoi obiettivi
Di solito la persona si rivolge al clinico quando la sintomatologia modifica il suo stile di vita, ne riduce la qualità o interferisce con l'esercizio delle capacità abituali.
Inoltre il paziente deve ritenere che la sua condizione è modificabile (guaribile), deve vincere la vergogna, la paura di rivolgersi a qualcun altro e quindi la scelta di rivolgersi a qualcuno è il risultato di un processo diagnostico in proprio.
I sintomi sono le informazioni che derivano da consapevoli sensazioni del malato, mentre i segni sono i rilievi che osservatore e malato ricavano dall'osservazione obiettiva.
Quando c'è valutazione diagnostica, si può distinguere in:
  • sintomi e segni probativi e patognomonici, che permettono il riconoscimento certo di malattia
  • sintomi e segni probativi ma non patognomonici (detti oppositivi), dove la presenza di questi implica una probabilità a priori negativa o molto bassa che si tratti di una certa malattia
  • sintomi e segni non patognomonici o probabilistici, ovvero quelli di cui si calcolano le probabilità a posteriori
Quando la persona non si accorge del proprio cambiamento, può capitare che ci sia la diagnosi dei familiari, i quali possono incontrare i seguenti ostacoli:
  • abbiano anche loro un disturbo psichico
  • la malattia del familiare vada in conflitto con la rappresentazione di sè, mettendoli in difficoltà ad accettare la cosa
  • percepiscono la malattia del familiare come qualcosa di normale, che anche loro pensano di aver provato in passato
Di solito il male non viene subito individuato, il congiunto di solito prima percepisce l'ansia che qualcosa non stia andando, poi cerca un capro espiatorio (il malato), poi c'è ambivalenza e negazione alternata, compare la paura dello stigma e c'è la paura e vergogna, poi c'è un cambiamento delle mansioni (il malato viene sostituito), ed in questa caso si accetta di prendersi cura del paziente e si accetta quindi la malattia (decidendo di solito di intervenire tramite specialista).


La richiesta d'aiuto


Il paziente chiede solitamente aiuto dopo che:
  • si convince che la buona volontà non serve
  • la voglia di guarire è maggiore della paura di esser considerato matto
  • pensa sia utile parlare con qualcuno di quello che gli accade
Il paziente si rivolge al professionista perchè:
  • crede che questi possa risolvere velocemente i problemi
  • si è autodiagnosticato un disturbo psichico
  • è disperato e senza risorse
  • è disorientato perchè nessuno in famiglia ha mai avuto ciò che ha lui
  • ha la tendenza a far risolvere dagli altri i propri problemi
  • in famiglia c'è pregiudizio quindi ne parla meglio all'esterno
  • è rassicurato che un'altra persona si assuma la responsabilità della situazione
Anche i familiari seguono questo iter, anche se i loro sentimenti sono influenzati dai sentimenti nutriti verso il malato e il senso di responsabilità per la decisione.
Variabili come ansia o paure influiscono negativamente nella scelta.
La scelta dello specifico tecnico (psicoanalista, psicoterapeuta, neurologo, ecc..) è la risultante di 3 criteri:
  • Il modello etiopatogenetico usato dal paziente: la specificità del tecnico a cui si rivolge il paziente dipende dall'esito del processo di individuazione delle cause del disturbo (se la causa della sofferenza è imputata a cause organiche, andrà dal medico del corpo, se invece è imputata a cause psichiche, andrà dal medico della mente).
    Se il paziente non sa quale sia l'origine del male, sceglie la vai più facile (ad esempio il medico di famiglia), inoltre, si ha la bias del paziente quando c'è la propensione a considerare gli aspetti emotivi del problema (questi pazienti richiedono velocemente il trattamento del clinico e tollerano poco la diagnosi).
  • L'accessibilità del clinico: vari motivi (orari in conflitto con il proprio lavoro, lontananza, lunghi tempi d'attesa, ecc...) possono portare a cercare un tecnico in base all'accessibilità.
  • L'esito delle situazioni considerate simili: il paziente predilige il criterio di familiarità al criterio di competenza, si scambia informazioni con conoscenti su chi è un bravo dottore, pensa che se questi ha risolto i problemi di un suo conoscente può risolvere anche i suoi.
    I pazienti spesso scelgono più in base al carattere del medico che in base alle competenze, cmq i motivi sottesi alla decisione del paziente di rivolgersi ad un tecnico forniscono informazioni sul suo funzionamento psichico e consentono di comprendere i criteri in base ai quali ha scelto le informazioni che fornirà nella consultazione.
    Inoltre, la prima impressione del clinico sul paziente perdura a causa dell'effetto di ancoraggio, anche quando non viene confermata dall'evidenza. 


Gli strumenti dello psicologo clinico


La diagnosi è il primo passo nel processo tecnologico che permette di trasformare una persona con un fastidio non ben precisato in un paziente con un disturbo psichico definito, essa serve per fare predizioni sul comportamento del paziente, la lunghezza del trattamento ed il tipo di intervento da attuare.
Il processo diagnostico è l'iter che il paziente percorre assieme al clinico allo scopo di rilevare e circoscrivere l'ampiezza e l'entità dei disturbi lamentati, attribuire loro un significato e individuare possibili strategie d'intervento per ridurre, modificare, eliminare, la causa della sofferenza.
Nel processo diagnostico bisogna:

  • ascoltare attentamente le informazioni fornite dal paziente e capire cosa egli dica
  • decidere se il paziente si sta rivolgendo al tecnico giusto
  • stabilire se il disturbo lamentato corrisponde col disturbo realmente posseduto
  • individuare le informazioni significative che possono esser state omesse
  • acquisire le informazioni necessarie per scartare ipotesi errate o risolvere dubbi diagnostici
  • formulare una diagnosi che può anche non corrispondere con quella fatta dal paziente
Non esiste osservazione che sia indipendente dalla teoria, l'osservazione è sempre selettiva ed i dati raccolti sono correlati con la capacità tecnica del clinico, con l'adeguatezza degli strumenti di rilevamento e con la psicopatologia del paziente.
Il clinico deve ascoltare quello che dice il paziente e deve vincere la tentazione di catalogare e teorizzare tutto ciò gli viene riferito, e nel processo diagnostico, il clinico dai primi sintomi può formulare delle ipotesi, poi fare altre supposizioni, riformulare le ipotesi iniziali se necessario, ed in fine, quando ci sono abbastanza dati, prendere delle decisioni (assumendosi delle responsabilità).

Il ragionamento clinico
E' la trasformazione di giudizi inconsci, sensazioni e conoscenze in qualcosa di più esplicativo, ed il suo punto di partenza è di solito costituito da piccoli indizi.
Il ragionamento clinico deve essere:
  • pronto ad esplorare nuove strade
  • attento ad individuare problemi e soluzioni
  • disponibile a ristrutturare la propria comprensione in base ai dati ottenuti
  • convinto che conoscenze e comprensioni sono dovute ai propri processi cognitivi
  • capace di assumere punti di vista opposti rispetto ad un unico argomento
  • capace di distinguere aspetti originali da bizzarrie
  • capace di individuare la complessità del problema e le priorità
  • capace di cogliere i feedback, non prendendo tutto per buono ciò che arriva dalla società e la cultura corrente
Spesso però il clinico deve prendere decisioni anche in mancanza di abbastanza dati e in condizioni emotive difficili.
Può succedere che osservando il paziente: si osservi solo quello che si vuole rilevare, si tiene conto solo delle informazioni che confermano le proprie ipotesi, si pongano domande in modo da provocare solo i comportamenti di conferma.
Il ricorso ad euristiche (rappresentatività, disponibilità, ancoraggio) permette di semplificare i processi decisionali, ma anche essere fonte d'errore, inoltre il loro utilizzo è spesso automatico ed inconscio.
Il clinico inoltre può compiere i seguenti errori:
  • può essere troppo sottomesso alla propria teoria di riferimento
  • può sentire la necessità di etichettare subito tutto
  • può essere troppo preoccupato a raccogliere dati, tralasciando gli aspetti qualitativi della comunicazione
  • non dar spazio ad altro materiale emerso, se non presente nella propria griglia
La diagnosi e la predizione inoltre correlate: la predizione implica la capacità di ragionare partendo dalle condizioni attuali per arrivare agli esiti futuri, la diagnosi implica la capacità di ragionare sui sintomi e sui segni fino ad individuarne le cause ad essi precedenti.


Gli errori del clinico


Il ragionamento clinico si scompone in:
  • trattamento delle informazioni: acquisizione dei dati, formulazione di ipotesi, interpretazione dei dati, valutazione delle ipotesi
  • impiego di modelli causali
  • presa di decisione
E' possibile classificare gli errori del clinico in base alla sede, natura o alla motivazione o al modo in cui il clinico raccoglie le informazioni e formula diagnosi, inoltre gli errori possono essere accidentali o sistematici (dovute a cause costanti).
Gli errori commettibili nell'acquisire informazioni sono:
  • immettere un dato di osservazione errato o valutato scorrettamente
  • accettare termini impropri o imprecisi di cui non si conosce il reale significato per il paziente
  • immettere dati non rilevanti che ostacolano il processo di interpretazione
  • ridurre o non rilevare i dati che porterebbero ad esiti negativi
Gli errori nello svolgere operazioni logiche sono:
  • nel processo di catalogazione e comparazione dei quadri morbosi
  • nella spiegazione deduttiva
  • nella spiegazione induttiva
  • nel ridurre o non rilevare la complessità del fenomeno
  • nel ricorso a schemi non adeguati o nell'applicazione di modelli causali
Il clinico può sbagliare perchè non sa, perchè ha difficoltà a prendere decisioni, perchè non ama l'incertezza, perchè usa euristiche, perchè seleziona ciò che gli viene detto in base ad un suo bias, presenta cambiamenti d'umore che possono renderlo anche meno obiettivo, può sbagliare per via di fattori percettivi e cognitivi.
In generale si può cmq dire che l'errore clinico è spesso un errore conoscitivo, e la probabilità d'errore aumenta quanto più il problema è interpretativo o inferenziale.
Ogni problema non è solo un problema cognitivo, ma implica il maneggiamento di emozioni che l'esposizione al problema provoca in lui.
Alcune ricerche han dimostrato che si ricordano più facilmente gli eventi che rispecchiano il tono d'umore del momento in cui si sono verificati, e le reazioni emotive del clinico condizionano ciò che si rileva, il modo in cui organizza le informazioni e la sua capacità predittiva (ad esempio un tono d'umore positivo aumenta la capacità di problem solving, anche se a volte può avere conseguenze negative, facilitando la tendenza a semplificare i compiti complessi e a privilegiare strategie di decisione semplificate).

Il clinico giovane ha meno esperienza ma è più fresco di studi (e dovrebbe essere quindi più aggiornato), il clinico vecchio ha più pratica ma i suoi processi decisionali possono essere più rigidi e stereotipati.
Tuttavia c'è da sottolineare che le capacità cliniche non sono un'arte, ma il risultato di un duro addestramento, tuttavia l'esperienza modifica solo parzialmente le caratteristiche personali che potrebbero danneggiare il lavoro del clinico (es. essere impaziente, non tollerare l'incertezza, ecc...).
Alcune ricerche dimostrano che i clinici, indipendentemente dall'esperienza, tendono a soggiacere nella stessa misura alle proprie preconcezioni, quindi sembra che la figura più professionale sia quella del clinico esperto (ha maggiori conoscenze, è più pratico e rapido nel reperire informazioni, tollera meno l'incertezza).
Il clinico inesperto può avere più facilmente correlazioni illusorie, ovvero prestare più attenzione ai dati compatibili con le sue preconcezioni, e questo è sinonimo di insicurezza nei confronti delle proprie capacità decisionali.
Il clinico inesperto è più soggetto all'ansia e per risolvere le discrepanze tra le proprie conoscenze e i dati che vengono alla luce, può cercare di risolvere il dilemma cognitivo tramite covariazioni erronee o distorte.
L'inesperto prende le decisioni basandosi su pochi dati, rispetto a tutti i dati in proprio possesso, e spesso avere più dati non è visto come un miglioramento della precisione diagnostica, ma svolge solo una funzione di rinforzo e rassicurazione per il clinico.
L'inesperto spesso usa dati di evidenza diverse per confermare le proprie ipotesi, ai quali attribuisce impropriamente lo stesso valore.
Altri fattori che influiscono negativamente sul novellino sono: la fretta, di concludere il caso per far contento il paziente (o per non esser sotto pressione da parte dei parenti), la fretta di fare carriera, e le aspettative dei colleghi.
In alcuni casi, la discrepanza tra i dati raccolti può indicare un duplice livello di funzionamento del paziente e la sua diversa modalità di risposta in contesti differenti, ed il clinico inesperto può esser tentato a nascondere queste diversità, piuttosto che a studiarle.


Riflessioni metodologiche


Il paziente ha bisogno di essere aiutato ad intuire che esiste un metodo che guida il susseguirsi delle operazioni del clinico.
L'oggetto del metodo clinico è il funzionamento globale del paziente e le tecniche/procedure adottate sono accettabili solo se permettono di conoscere e descrivere questo funzionamento.
La centratura è quindi più sul malato che sulla malattia o le competenze del clinico, il quale deve salvaguardare le condizioni oggettive e soggettive che massimizzano la sua capacità di comprensione.
La consultazione diagnostica è quell'operazione clinica deputata al raggiungimento della comprensione ed è considerata lo specifico metodologico della psicologia clinica.
Lo scopo della consultazione diagnostica può essere raggiunto solo se il clinico non consente a nessun modello di bloccare la sua capacità di cogliere la realtà del paziente, e la presa in carico della terapia può avvenire solo dopo che la consultazione ha raggiunto l'obiettivo di diagnosi funzionale e quest'ultima è stata consegnata al paziente tramite la restituzione.


Lo psicologo clinico fa delle consultazioni diagnostiche e si occupa di diagnosi funzionale, mentre lo psicoterapeuta conduce un lavoro che ha un proprio razionale specifico, diverso in rapporto al modello di disturbo psichico privilegiato dal particolare tipo di terapia.
Non tutti gli psicologi clinici sono psicoterapeuti e non tutti gli psicoterapeuti sanno fare i clinici (anche se la legge gli permette lo stesso di svolgere la consultazione diagnostica).

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Carandiru

Carandiru è un film drammatico del 2003 diretto da Hector Babenco, con Luiz Carlos Vasconcelos, Milton Gonçalves, Ivan de Almeida, Ailton Graça, Maria Luisa Mendonça, Aida Leiner, Rodrigo Santoro, Rita Cadillac, Gero Camilo.

Carandiru
Trama
Un medico volontario si reca nella prigione di Carandiru, a San Paolo in Brasile, per portare avanti un programma di cura e di prevenzione dell'AIDS.
Con il suo lavoro questo medico imparerà a conoscere a fondo un po' di detenuti di Carandiru, scoprendo cosa questi facevano prima di finire in prigione, ma anche come ora vivono e sopravvivono in quello che è considerato da tutti uno dei più duri carceri del sud America.

Recensione
Carandiru è un film tratto dall'omonimo libro, che a sua volta è stato scritto ispirandosi ai tragici fatti accaduti in quel carcere prima della sua chiusura (clicca qui se vuoi sapere cosa è successo a Carandiru).
Io sono appassionato di film sulle prigioni, ma questo Carandiru a mio avviso non è fatto benissimo.
La ricetta è sempre quella: far vedere come vivono i detenuti e raccontare qualche storia di questi.
Diciamo che nel complesso diverse storie, o per meglio dire, il modo in cui sono raccontate, risulta un po' noioso e poco interessante, e che si poteva fare di certo di meglio visto il tema.
Nel complesso comunque Carandiru, si salva nel finale, quindi a mio avviso è un film da vedere per gli amanti dei film del genere gabbio.

Link alla scheda del film su wikipedia

Come configurare il wifi su android huawei

Hai un cellulare android huawei e non sai come settare il wifi per collegarti ad internet senza usare la tua connessione dati?
Nessun problema, continua a leggere per scoprire come configurare il wifi su android huawei.

Prima di tutto, entra nelle Impostazioni del tuo telefonino e troverai come prima voce nella sezione Wireless e reti, la dicitura Wi-fi.

Come configurare il wifi su android huawei

Nella nuova finestra che si aprirà, prima di tutto attiva il wifi cliccando sul bottone in alto a destra (se disattivato).

Adesso hai due possibilità.

La prima e più veloce è quella di selezionare la rete a cui collegarti dalla lista delle reti disponibili, cliccando sul nome desiderato ed inserendo l'eventuale password d'accesso.

seleziona una rete

La seconda possibilità è quella di aggiungere una rete nascosta.
Con questa opzione potrai aggiungere tutte quelle reti che, per motivi di sicurezza, non sono visibili nella lista delle reti disponibili.

Scrolla la pagina in basso fino a che non appare la voce Aggiungi rete, poi cliccaci sopra.

aggiungi rete

Adesso compila i campi SSID rete, ovvero il nome della rete a cui vuoi collegarti, poi seleziona una chiave di sicurezza, presumibilmente WPA/WPA2, inserisci la password ed infine clicca su Salva.

configura rete nascosta

Se avrai inserito tutti i dati correttamente, dopo aver salvato questa rete, il tuo smartphone proverà a collegarcisi subito, ed in caso negativo ti darà un errore di connessione.

The butterfly effect

The Butterfly Effect è un film thriller del 2004 diretto da Eric Bress, J. Mackye Gruber, con Ashton Kutcher, Amy Smart, Melora Walters, Elden Henson, William Lee Scott, Eric Stoltz, Ethan Suplee, Callum Keith Rennie, John Patrick Amedori.

The butterfly effect
Trama
Il giovane Evan scopre di avere un particolare potere ereditato da suo padre, quello di poter tornare indietro nel tempo leggendo dei ricordi scritti.
Evan userà questo suo potere per cambiare il destino delle persone a lui più care, scoprendo però che ogni azione ha una conseguenza, e che non è facile fare felici tutti.

Recensione
The butterfly effect è un bellissimo thriller del genere psicologico.
Si tratta di viaggi nel tempo o nella memoria? Chi lo sa.
Quel che è certo è che questa nuova interpretazione dei viaggi nel tempo è davvero riuscita e d'effetto.
Un film ben girato che non annoia mai, dall'inizio alla fine ti tiene incollato alla sedia.
Peccato solo che in alcune versioni, soprattutto quella televisiva, sia pesantemente censurato, tanto che alcune scene non si capisce proprio cosa succede.

Link alla scheda del film su wikipedia

domenica 19 giugno 2016

Come fare chiamate anonime col cellulare android

Se hai un telefonino con su android e magari è un bel huawei, forse ti interesserà scoprire come chiamate anonime col cellulare.

Effettuare una chiamata anonima con lo smarphone può risultare utile in certi casi in cui si vuole chiedere informazioni a dei numeri di cui non si conoscere la reale affidabilità, per fare in modo di poter telefonare rimanendo anonimi e non venir poi ricontattati in seguito senza permesso.

Vediamo dunque come effettuare chiamate anonime con il cellulare android huawei.

Prima di tutto, entriamo nel menù delle telefonate.
Nel menù delle telefonate (Componi) ci si può arrivare in diversi modi, uno è quello di cliccare sulla cornetta dove si clicca di solito per fare le telefonate.

Adesso, clicchiamo sulle 3 righe orizzontali a destra nella pagina per aprire un menù a tendina ed entriamo in Impostazioni chiamate.

Come fare chiamate anonime col cellulare android

Nella schermata che si aprirà, andiamo in fondo e clicchiamo su Altre impostazioni.

altre impostazioni

Adesso clicchiamo su ID chiamate e nel popup che si aprirà selezioniamo la voce Nascondi numero se si vuole nascondere il proprio numero di telefono a tutti con il proprio telefonino android, oppure su Mostra numero per... chettelodicoaffare ;)

nascondi numero

Ecco fatto, ora potrai fare tutte le telefonate anonime che vuoi.
Ovviamente non ti mettere a fare scherzi telefonici sfruttando l'anonimato, perchè se la fai grossa e ti denunciano possono comunque risalire alla tua vera identità, e poi sono cavoli amari :)

Come vedere il PageRank di un sito

Il PageRank di google, o PR per gli amici, è quell'indice che attesta la popolarità del tuo sito sulla rete, secondo google.
Il page rank di un sito si incrementa quando un sito viene linkato più volte in giro per il web.

Attenzione però, devono essere dei link veri (backlinks), dove poi ci clicca la gente, altrimenti google se ne accorge e capisce che si tratta di scambio di link o di spam per aumentare la popolarità del proprio sito, e si ottiene l'effetto opposto, ovvero si viene penalizzati dai motori di ricerca.

Vediamo dunque come vedere il PageRank di un sito utilizzando un servizio online.
Per calcolare il pagerank di un sito internet, collegarsi a questo indirizzo:
http://www.prchecker.info/

Nella pagina dal titolo Free PAGE RANK Checker for your Web site, inserire nel box di testo l'indirizzo del sito web di cui si vuole scoprire il pagerank e poi cliccare su Check PR.

Se appare l'anti-bot captcha, inserire i numeri e le lettere che appaiono a video e poi cliccare su Verify now per finire finalmente nella pagina con il risultato finale.

Come vedere il PageRank di un sito

Ehm, nel mio sito sono messo ancora maluccio (0/10)... ma datemi tempo :)

Avere un buon pagerank è una cosa molto importante per far sì che il proprio sito salga nelle posizioni dei risultati di google, sbaragliando la concorrenza.
Però ovviamente, per aumentare il pagerank di un sito internet, ovvero per aumentare l'autorevolezza del sito, ci vuole molto tempo e pazienza.
Più si scrivono cose interessanti, e più queste vengono condivise nella rete e soprattutto cliccate, e più il page rank aumenta, e più il proprio sito diventa famoso e visitato :)

Come togliere la vibrazione nella modalità silenziosa

Se hai un telefonino con su Android e magari si tratta proprio di un Huawei come il mio, forse ti interesserà sapere come togliere la vibrazione nella modalità silenziosa.

Si perchè, non basta abbassare al minimo il volume del tuo cellulare per renderlo completamente muto, in quanto questo entrerà nella modalità silenziosa, che comprende anche la vibrazione.

Per disattivare la vibrazione nella modalità silenziosa di uno smartphone android Huawei e (forse) non.
Entrare nelle Impostazioni generali del telefono, poi sotto la sezione Dispositivo, cliccare su Audio.

Come togliere la vibrazione nella modalità silenziosa

Adesso, nella sezione Volume, disattiva "Vibra nella modalità silenziosa".

togliere vibra nella modalità silenziosa

Ecco fatto, byebye vibrazione.

Purtroppo però, se ti capiterà di alzare di nuovo il volume per poi riabbassarlo al minimo, dovrai ripetere questa procedura, perchè il tuo telefono android sarà entrato nuovamente nella modalità silenziosa e quindi di default sarà stata riattivata la vibrazione.
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Psicologia generale 2 (8/12): Concetti e categorizzazioni

Esistono 2 principali funzioni dei concetti, una è quella di favorire l'economia cognitiva (attraverso la codificazione dell'esperienza i concetti consentono di diminuire la quantità di informazione da ricordare), un'altra è quella di favorire le inferenze (categorizzando un pesce come tale, posso inferire molte altre sue proprietà, anche se non immediatamente percepibili).


La teoria classica


Secondo la teoria classica, un concetto è un insieme di proprietà singolarmente necessarie e globalmente sufficienti per l'appartenenza alla categoria (Bruner, Goodnow, Austin - 1956).
Ad esempio, per essere un padre occorre essere un maschio e ad avere almeno un figlio, quindi per essere un padre bisogna avere entrambe le caratteristiche (criterio di necessità), e d'altro canto, le 2 condizioni sono sufficienti per la classificazione (criterio di sufficienza).
La teoria classica fa anche distinzione tra intensione ed estensione di un concetto, dove l'estensione corrisponde all'insieme di esemplari che fan parte della categoria, mentre l'intensione corrisponde alla descrizione delle caratteristiche per poter appartenere alla categoria.
Inoltre, secondo questa teoria, il significato di un concetto può essere colto dall'elenco congiunto di attributi, dove l'appartenenza di un esemplare ad una categoria piuttosto che ad un'altra, è netta e precisa.
Già nel 1920 Hull aveva ipotizzato la teoria dell'elemento comune, secondo la quale vengono raggruppati in categorie gli esemplari che condividono un elemento comune, e successivamente nel 1956, Bruner fece l'esperimento delle carte con sopra i simboli geometrici, dove i soggetti dovevano individuare le varie categorie.
La teoria classica soddisfa il criterio di economicità, in quanto una singola rappresentazione è usata per un'intera categoria, anche se però essa, non dà ragione della naturalezza dei concetti, non essendoci nulla che tiene conto delle differenze tra concetti naturali e concetti arbitrari usati negli esperimenti psicologici.


Critiche alla teoria classica
Secondo Wittgenstein, i membri di una categoria possono essere correlati tra loro attraverso insiemi di fattori che si sovrappongono (somiglianza di famiglia), piuttosto che da insiemi di fattori in comune, e non sempre le categorie hanno confini rigidi e delimitati.
Sono stati rilevati alcuni problemi concettuali nella teoria classica:
  • C'è difficoltà ad identificare le proprietà che definiscono la maggior parte dei concetti naturali, e a dare un valore costitutivo ad alcune proprietà, ma non ad altre.
    Ad esempio si può categorizzare un animale per certe caratteristiche fisiche, ma se queste caratteristiche vengono rimosse chirurgicamente, l'animale rimane lo stesso della stessa categoria.
  • Non c'è sempre un accordo sulla categorizzazione, ed esistono molti esemplari non chiari, ambigui, come ad esempio il canotto, che può essere considerato un oggetto di mare o un oggetto di plastica.
  • Un concetto (es. pesce) dovrebbe possedere tutte le proprietà definenti del concetto sovraordinato (es animale), più alcune proprietà specifiche (quelle proprie dei pesci) che consentono di distinguerlo da altri concetti coordinanti (es. serpente, topo).
    Quindi secondo la teoria classica, un concetto specifico (es. squalo) deve avere più proprietà comuni e minor proprietà distintive relativamente al concetto superiore (pesce), rispetto a concetti più lontani (animale) e quindi dovrebbe risultare più simile al concetto immediatamente sovraordinario, ma spesso non è così.
  • Un'altra critica sta nel fatto che ci sono casi in cui ci sono grosse diversità tra i membri di una stessa categoria, inoltre è stato dimostrato che alcuni esemplari con caratteristiche più tipiche per la propria categoria (es. pettirosso per categoria uccelli) vengono classificati più velocemente rispetto ad altri con caratteristiche meno tipiche (es. struzzo), e questo fenomeno non è spiegato dalla teoria classica.

La teoria del prototipo


Secondo questa teoria, le categorie non sono entità logiche definite da un insieme di condizioni necessarie e sufficienti, ma sono strutturate attorno all'esemplare migliore della categoria, il membro medio della categoria, il prototipo.
Per Rosch il prototipo è l'esemplare reale che ha il valore medio delle caratteristiche condivise dai membri della categoria, mentre per Smith, Shoben e Rips, è un'astrazione, ovvero la collezione di caratteristiche più frequenti nella categoria.
Le caratteristiche che costituiscono il prototipo sono percettive salienti e, l'appartenenza categoriale di un esemplare, viene decisa in base al grado di similarità con il prototipo.
E' stato dimostrato che in compiti di categorizzazione, la velocità nel decidere se un oggetto fa parte di una categoria è proporzionale al grado di tipicità dell'oggetto, inoltre, uno studio di Rosch sulla rievocazione mnemonica ha dimostrato che gli esemplari tipici vengono ricordati e menzionati prima di quelli atipici.
Secondo la teoria del prototipo, le categorie sono organizzate gerarchicamente in una tassonomia, dove c'è il livello sovraordinario con le categorie generali (es. mobili), i cui membri condividono un piccolo numero di caratteristiche e quindi c'è sia una grossa variabilità intracategoriale (es. tavolo vs sedia) sia una grossa variabilità intercategoriale (es. animali vs mobili).
C'è poi il livello base (es. sedia), dove è massima la differenza intercategoriale all'interno di ciascuna categoria generale, e quindi i membri di una stessa categoria di base (es. sedia) hanno molti attributi in comune tra di loro e pochi in comune con quelli delle altre categorie di base (es. tavolo) appartenenti alla stessa categoria sovraordinata.
I concetti base vengono appresi per primi ed elaborati più velocemente ed accuratamente, sono linguisticamente fondamentali, ed è possibile rappresentarsi un prototipo di loro.
Infine c'è il livello subordinato (es. sedia da giardino), dove c'è minore variabilità tra categorie allo stesso livello (es. sedia da giardino vs sedia da ufficio), e quindi i membri di queste categorie condividono molti attributi con quelli di altre categorie subordinate nella stessa categoria di base.
I livelli tassonomici si differenziano anche per il grado di correlazione di attributi (cue validity), infatti gli attributi del mondo reale non sono indipendenti gli uni dagli altri, e la presenza di una proprietà è spesso correlata con la presenza di altre, e quindi certi indizi possono essere predittivi per una certa categoria.
Nelle categorie sovraordinarie però c'è qualche dubbio di validità della teoria del prototipo, infatti, se per miglior esemplare si intende quello che possiede più attributi funzionali (es. nel vestiario, che si indossa e tiene caldo), la somiglianza in queste categorie potrebbe risultare del tutto marginale, infatti per queste categorie non sempre  la funzione risulta percettivamente saliente, ma si dovrebbe parlare di pura somiglianza funzionale, anche se questa somiglianza non è menzionata nella teoria.
Se invece il prototipo è l'esemplare medio (quello con la media più alta di attributi salienti), allora risulta difficile e quasi impossibile trovare prototipi nelle categorie sovraordinarie.


Critiche alla teoria del prototipo
Anche la teoria del prototipo ha subito diverse critiche:
  • Il problema della similarità: la similarità non sembra essere una spiegazione sufficiente ed unitaria della categorizzazione, infatti non si può parlare di similarità se non si specifica a quale aspetto ci si sta riferendo, dato che sono infiniti i modi in cui gli oggetti possono somigliarsi.
    Inoltre, i giudizi di somiglianza e di appartenenza categoriale possono divergere, quindi le teorie della categorizzazione non possono basarsi solo sulla somiglianza.
  • Critica alla capacità esplicativa: esiste una distinzione fondamentale tra appartenenza ad una categoria e tipicità, infatti gli esperimenti di Rosch hanno dimostrato che i soggetti danno giudizi relativi ai gradi di tipicità e non ai gradi di appartenenza.
    Inoltre, alcune categorie che sembrano cruciali per valutare la tipicità, sono marginali per la definizione e la comprensione del concetto stesso.
  • Core e prototipo: è stata fatta una distinzione tra prototipo e core (o cuore concettuale), il prototipo contiene proprietà percettivamente salienti e facili da valutare, che sono utili per la categorizzazione immediata, mentre le proprietà del core sono più diagnostiche dell'appartenenza, ma tendono ad essere nascoste.
    Il core è stato anche paragonato al codice genetico, e la sua funzione è quella di rendere stabile un concetto, molto più di quello che riescono a fare gli attributi percepibili (ad esempio, il delfino nella teoria del prototipo andrebbe catalogato come un pesce, mentre usando il core andrebbe catalogato come un mammifero).
    E' stato fatto un esperimento da Landau per verificare questa teoria, dove venivano mostrate delle immagini di una nonna in cui variava l'età (caratteristica prototipica) e la presenza o meno di bambini (core).
    I risultati dimostrano che i soggetti fondano il giudizio di appartenenza più sulla caratteristica prototipica (l'età), e che poi giustificano i risultati della categorizzazione parlando delle caratteristiche core (i bambini).

Le teorie ingenue


Murphy e Medin hanno proposto le teorie ingenue che sono le teorie che le persone si costruiscono sul mondo per tentare di spiegare il modo in cui certi attributi sono raggruppati in esemplari di una categoria.
In questa visione, il concetto non è un semplice aggregato di attributi, ma un insieme di relazioni tra attributi che rendono coerente la categoria.
Le persone usano le parole per riferirsi a categorie, senza necessariamente conoscere il significato delle prime e l'aspetto delle seconde (uso referenziale), e quindi ad esempio potremmo sentire per la prima volta un oggetto esser chiamato lanciarazzi e chiamarlo così anche le volte successive.
Vari esemplari di una categoria rappresentano un insieme coerente dato che condividono una spiegazione che li tiene insieme, e per coerenza concettuale si intende il modo in cui i concetti rappresentano un insieme di elementi che risulta ragionevole per chi lo concepisce.
E' stato dimostrato che le categorie sono apprese più facilmente se sono rese coerenti da una teoria, e il grado di conoscenza di un certo dominio condiziona la formazione dei concetti (ad esempio, gli esperti di un certo settore possono rilevare più connessioni tra gli oggetti rispetto ai non esperti).
Nakamura ha rilevato che le persone apprendono facilmente le diverse categorie se vengono attivate teorie che possono spiegare le relazioni tra gli attributi, piuttosto che definizioni che separano in modo netto le categorie identificando un semplice elenco di attributi.
Ci sono molte cose che potrebbero apparire simili in quanto appartenenti ad una stessa categoria, quindi la similarità è una conseguenza e non la base della categorizzazione e della coerenza della categoria.
Alcuni studi hanno mostrato la presenza della struttura prototipica anche nei bambini di pochi mesi (10).
In generale, nelle situazioni in cui classificare è importante, i non esperti si rifanno alle classificazioni degli scienziati, e nei concetti complessi, il significato di concetto composto sarebbe dato dalla relazione di mediazione tra i termini.
In questa teoria esiste anche il concetto di attributo rilevante legato al contesto, dove ad esempio un assegno preso in un contesto normale ha come attributo principale il valore, mentre durante un incendio, il suo attributo principale diventa l'infiammabilità.



Il modello funzionalista di Barsalou


Secondo questo modello i concetti non sono delle rappresentazioni stabili, e la loro instabilità è dovuta al fatto che persone diverse (ma anche la stessa persona), possono avere concetti diversi della stessa categoria in contesti e momenti diversi.
In contesti diversi, fattori diversi determinano strutture diverse nella stessa categoria, e la struttura con gradazioni può mutare anche in relazione al punto di vista dal quale la categoria viene percepita, quindi le strutture con gradazioni non riflettono proprietà invarianti delle categorie.
Il modello di questa teoria sostiene che la memoria a lungo termine (MLT) contiene una gran quantità di conoscenza grandemente irrelata e continua che viene usata per costruire i concetti nella memoria operativa, e sulla base delle informazioni nella MLT, la ML (memoria di lavoro) costruisce i concetti in relazione ai contesti e alle situazioni.
Quindi i concetti sono costrutti temporanei che dipendono dai contesti, e questi concetti prodotti vengono a loro volta immagazzinati nella MLT, ma non sono delle rappresentazioni invarianti.
Infine l'informazione che dipende dal contesto viene richiamata in presenza di contesti pertinenti e ciò determina l'instabilità del concetto.
Quindi i concetti formulati dai teorici non possono mai essere identici ai concetti reali degli individui, e Barsalou sostiene che un concetto non rappresenta una data categoria in ogni occasione.
Secondo Barsalou e Bower, una proprietà diventa indipendente dopo che è stata associata più volte ad una categoria.
Il grado di accordo relativo alla categorizzazione sembra basarsi sull'informazione indipendente dal contesto, mentre le variazioni sono attribuite alle informazioni dipendenti dal contesto.
Il processo di concettualizzazione inoltre, incorpora l'informazione che è orientata ad uno scopo, e quella pertinente agli esemplari presenti e ad altri aspetti del contesto.
Ricapitolando, i concetti risultano stabili: per l'uso di informazioni indipendenti dal contesto, quando gli obiettivi da raggiungere sono gli stessi possono servire da richiamo per informazioni analoghe nella memoria, quando gli esemplari ed il contesto sono gli stessi.
I concetti risultano instabili: perchè l'esperienza diversa determina un grado diverso di conoscenza, le correlazioni tra proprietà possono variare, al cambiare degli scopi cambiano anche i concetti che le persone si creano di una categoria, variando gli esemplari e il contesto si modificano anche i concetti di una stessa categoria.


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sabato 18 giugno 2016

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Psicologia generale 2 (7/12): La decisione

Prendere una decisione è un po' come risolvere un problema, il decisore deve selezionare tra le possibili azioni, quella che preferisce.
Le decisioni vengono studiate in 2 modi diversi: l'approccio normativo ha lo scopo di descrivere come una persona dovrebbe prendere le decisioni se si comportasse razionalmente, l'approccio descrittivo mira a costruire modelli in grado di descrivere e prevedere il processo decisionale sotteso alle scelte prodotte dagli individui, e ad individuare i fattori che lo condizionano.
Le decisioni possono essere rischiose, e non rischiose, queste ultime però possono cmq diventare rischiose se associate a stati d'incertezza.
Le decisioni possono essere ad un solo attributo o a più attributi, ed in questo caso la scelta diventa più complessa perchè il decisore deve pesare i vari attributi e poi integrare le informazioni derivanti dall'operazione di ponderazione degli attributi per produrre una decisione.
Le decisioni possono anche variare di grado di complessità, si possono avere infatti decisioni a stadi multipli, dove una decisione si sviluppa con una sequenza di scelte, ognuna delle quali costituisce un'espressione di preferenza tra 2 o più alternative.
Esistono anche decisioni a stadio singolo, che sono però più rare e di solito ricavate in laboratorio sotto forma di scommessa.


Approccio nominativo, approccio descrittivo e decisioni rischiose


L'approccio nominativo si basa sul presupposto che gli individui, quando scelgono, massimizzano il risultato atteso.
Il valore atteso si riferisce al valore obiettivo monetario, mentre l'utilità attesa si riferisce all'interesse o al valore soggettivo atteso di un qualsiasi esito.
Neumann e Morgenstern hanno dimostrato che se le preferenze di una persona soddisfano certi assiomi alla base del comportamento razionale, allora le scelte di quella persona possono essere descritte come equivalenti alla massimizzazione dell'unità attesa.
La teoria dell'utilità ha diversi assiomi, il primo assioma è il principio della transitività delle preferenze, dove se un individuo preferisce A a B e B a C, per essere un decisore razionale deve necessariamente preferire A a C.
Il secondo assioma è il principio di indipendenza, dove se esiste un qualche stato del mondo che conduce allo stesso esito indipendentemente dalla scelta effettuata, allora la scelta dovrebbe essere del tutto indipendente dall'esito.
Diversi studi hanno dimostrato che nella realtà, il principio della transitività viene seguito poche volte.
Tversky, Sattah e Slovic hanno proposto l'ipotesi della ponderazione contingente che afferma che i soggetti considerano la probabilità e l'entità di denaro come i 2 attributi in base ai quali è descritta ogni scommessa, e li ponderano in maniera differenziata a seconda del modo in cui le preferenze vengono richieste dal compito.
Anche l'assioma dell'indipendenza viene violato dalla gente nelle situazioni reali, come anche il principio della cosa sicura.
Tversky e Shafir hanno ipotizzato che la mente umana sia incapace di pensare in modo consequenziale in condizioni di incertezza, ovvero a valutare le conseguenze delle opzioni.



La teoria del prospetto


E' una teoria descrittiva sviluppata nel 1979 da Kahneman e Tversky che rende conto del perchè gli individui scelgono in maniera diversa dal modello della teoria dell'utilità, e differisce da essa per almeno 3 punti.
Il primo punto sta nel fatto che il concetto di valore sostituisce quello di utilità, il valore è infatti definito in termini di guadagni o di perdite (con segno positivo o negativo), inoltre la funzione di valore riferita alla perdita è diversa da quella del guadagno, la prima descrive una forma convessa e ripida, la seconda una curva concava che cresce meno velocemente di quanto diminuisca la prima.
L'effetto di una variazione marginale in questo modello, diminuisce a mano a mano che aumenta la distanza dal punto di riferimento.
La seconda differenza è che questa teoria considera le preferenze come una funzione di pesi decisionali che non corrispondono sempre ad effettive probabilità, anzi, la loro espressione tenderebbe a sovrastimare le piccole probabilità e a sottostimare le medie-alte.
La tendenza sistematica a sovrastimare le probabilità molto basse di vittoria giustificherebbe il perchè del successo delle lotterie, mentre la tendenza a sovrastimare la probabilità di subire una grossa perdita giustificherebbe il perchè molti paghino prezzi alti per assicurazioni su incidenti improbabili.
Un'ulteriore differenza con la teoria dell'utilità sta nel fatto che le preferenze delle persone dipendono dal tipo di rappresentazione mentale del problema decisionale, se ad esempio un certo esito viene considerato come un guadagno, allora la risultante del valore sarà concava e il decisore tenderà a prendere decisioni non rischiose, viceversa sarà convessa e prenderà decisioni rischiose.
Quindi, le persone sono in generale avverse al rischio quando hanno a che fare con opzioni che implicano guadagni, mentre sono più propense al rischio quando le opzioni implicano perdite.
Il fenomeno dei costi affondanti (costi già sostenuti e non più recuperabili) consiste nel subire il condizionamento di scelte fatte in precedenza, quando si deve decidere, anche se se queste scelte precedenti non hanno prodotto l'esito sperato.



L'effetto di incrociamento


L'atteggiamento nei confronti del rischio dipende molto da come sono descritti i problemi decisionali.
Il frame di decisione è la concezione che il decisore ha degli altri, degli esiti e delle contingenze associate ad una particolare scelta.
In uno studio, sono state mostrate a dei soggetti 2 possibili scelte da prendere su quante persone salvare da una malattia asiatica.
Secondo TverskyKahneman, i soggetti costruiscono i problemi, ovvero elaborano i frames, in modo diverso, dividendoli in frame di guadagno (vite salvate) e frame di perdite, e decidendo di conseguenza, un fenomeno che condiziona le scelte anche di persone esperte e colte.



Strategie decisionali


Secondo la teoria dell'utilità multi-attributiva si dovrebbe: identificare le dimensioni o gli attributi rilevanti, prendere una decisione su come assegnare i pesi agli attributi, ottenere un'unità globale per ogni opzione sommando i valori, scegliere l'azione con valore di utilità globale ricavato più alto.
Nella realtà però, applicare questo procedimento può essere troppo dispendioso in termini di memoria di lavoro (se il numero di attributi è molto elevato), ed inoltre il decisore non è sempre consapevole di quali siano gli attributi rilevanti.
Per risolvere questi problemi, il decisore usa procedure di semplificazione che consentono di ottenere un risultato soddisfacente, e piuttosto che spendere tempo e fatica per massimizzare l'utilità, il decisore si accontenta di raggiungere un livello minimo accettabile di soddisfazione.
Le strategie compensatorie vengono applicate quando il decisore applica la rinuncia ad una cosa per una sua alternativa, mentre le strategie non compensatorie vengono applicate quando la commensurabilità non è possibile e quindi non si può effettuare nessuna compensazione di attributi.
La strategia di compensazione ha come figlia la strategia additiva (o modello lineare), dove il decisore pondera ogni attributo in funzione della sua importanza e poi somma tutti i valori ponderati in modo da ottenere un valore globale per ogni alternativa, e alla fine viene scelta l'alternativa con valore maggiore.
La strategia non compensatoria comprende invece l'euristica lessicografica e le strategie di eliminazione degli aspetti, dove nella prima il decisore determina l'attributo più importante ed esamina poi i valori di tutte le alternative su quell'attributo, scegliendo l'alternativa con valore più elevato, nella seconda, il decisore determina l'attributo più importante ed il valore minimo di accettabilità, eliminando tutte le opzioni che presentano valori su quell'attributo inferiori all'accettabile, fino a che rimane una sola alternativa.
In generale, il decisore trova più agevole adottare una strategia compensatoria che gli consente di evitare il conflitto decisionale e un minor investimento cognitivo.
Tanto più è elevato il numero delle alternative e tanto più gli individui tendono alla semplificazione del compito tramite strategie non compensatorie, se invece il problema ha solo 2 alternative, il decisore userà facilmente la strategia compensatoria.
Inoltre, tanto più sono simili le alternative, e tanto più verranno usate strategie compensatorie e sarà più facile la compensazione, però quanto più grande è la similarità tra le opzioni, e tanto maggiore è la quantità di informazione richiesta per poter decidere.



Effetti della rappresentazione del compito


Un altro effetto individuato è l'effetto della contabilità psicologica.
Ad esempio se si perdono dei soldi e poi si chiede se si vuole comprare lo stesso un biglietto che costa quanto i soldi persi, la gente di norma risponde si, mentre se si perde il biglietto, anche se i soldi persi sono gli stessi, la gente è meno propensa a ricomprare il biglietto.
Questo fenomeno sembra derivare dal fatto che la diversa rappresentazione del compito possa far percepire, nel primo caso, la perdita dei soldi e l'acquisto del biglietto, come un conto separato.


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